08-Marzo-2018
Il Palio è emozione amore anche se non è il tuo. I Palii sono emozione ricordi, anche se non è il tuo. Mi arriva questa lettera, non soffre di protagonismo il nostro Spettatore, così si firma. So che è di Fermo e della Contrada Torre di Palme. Già, Fermo, dove si corre un’altro Palio, anche questo su strada, con la Sella e con i cavalli Mezzosangue dall’anno scorso. Basta, mi fermo qui, perché credo valga la pena perdere cinque minuti e leggere questa splendida lettera. Grazie ad aver pensato a Brontolo per renderla pubblica. Buona lettura, ne vale la pena, lo ripeto.
Tornare al Palio di Buti dopo quasi trent’anni, fra amici, ospiti di una contrada amica è un coinvolgimento piacevole fra l’entusiasmo e l’allegria. Certo appena sceso dalla macchina mi rendo conto che in fondo Buti è sempre la stessa e tornarci è una bella sensazione. Non faccio in tempo a guardarmi intorno percependo il freddo pungente tipico del Gennaio Butese che già in gruppo fra una battuta e una risata mi ritrovo sul percorso. Abbiamo già passato la partenza, scorgo il Verrocchio, e poi gli steccati bianchi del collo d’oca che rendono la strada più stretta ma più sicura. Sotto i piedi un rassicurante fondo terroso
morbido ma compatto e via camminando di buona lena, nell’euforia del momento, mentre arriviamo alla prima semicurva verso destra appena prima delle due case, mi viene istintivo di girarmi a guardare indietro. Un brivido mi attraversa la schiena, riconosco quel muretto da dove
mi sporsi nel lontano 1989, quando Ventorro e Bonito mi sfrecciarono davanti nel freddo buio e io urlai: Vaaaaiiii…..Vaaaiiiii!!!! Mi torna in mente quel momento lontano cosi chiaro, indelebile, per poi svanire velocemente come un eco. Sento quasi un nodo alla gola, qualcosa di inspiegabile, dolce come il ricordo, aspro come il pianto. E ancora più avanti la curva del peso, altri flash, altri brividi mi riportano al 1990. Ventorro ancora trionfatore e ancora la sua sagoma quasi impercettibile nel buio, il suo soffio caldo che esce da quelle narici dilatate, le orecchie spiattate sul collo, gli occhi demoniaci…..è una dolce tortura. Pensare che in quegli anni da noi ogni domenica c’erano le corse in provincia sull’asfalto da Marzo fino a fine Settembre. Ogni paese proponeva un percorso e il Gran Premio Marche era un campionato che raccoglieva cavalli scartati dalle piste e li cimentava in queste corse eccellentemente organizzate. Una sorta di carovana itinerante che ogni domenica si spostava in un percorso di un comune diverso, raccogliendo lungo la strada, arroccate sulle transenne, qualcosa come cinque o seimila persone. Su quelle strade hanno lottato ex cavalli da prima
pagina, nobili decaduti, in battaglie epiche. La quasi totalità di loro derivava da infortuni avuti in
pista e curati venivano rimessi in ottime condizioni tornando a una seconda giovinezza. Non c’erano visite veterinarie precorsa, ma c’era un veterinario di servizio e il controllo antidoping e l’incidenza degli infortuni era bassissima….mentre adesso dobbiamo fare visite pre-gara talmente accurate che secondo alcuni dovrebbero predire il futuro sulla sicurezza nell’impiego in corsa di quel soggetto. Perché gli atleti di ogni genere possono avere infortuni…ma i cavalli no…. E se dovessero capitare va comunque cercata la testa di qualche colpevole vero presunto che deve pagare. Se penso chi di quei cavalli potrebbe correre adesso passando le visite? Nessuno.
Eppure correvano ogni domenica o quasi per diverse stagioni. Qualcuno tornò a correre in pista e venne a vincere anche il Palio di Buti. Erano gli anni in cui chi aveva l’entusiasmo e le capacità, poteva fare e organizzare senza impattare nel proibizionismo sterile della burocrazia assurda. Un gruppo di pazzi romantici aveva
preso su gabbie di partenza, steccati, transenne, altoparlanti dando vita ad un volano di passione
smisurata per il cavallo da corsa. Ogni Domenica si incontravano le stesse persone in quell’aria di festa e di competizione. Ogni cavallo aveva la sua tifoseria al seguito, alcuni paesi si svuotavano per andare a veder correre il loro pupillo e tifarlo. La gente comune stava scoprendo la cultura del cavallo da corsa in un ippica maccheronica che però era spettacolo e passione.
Fra quella grande massa di popolo c’ero anche io, un bambinetto che animato dalla passione sfrenata per il cavallo aspirava a conoscere questo nuovo mondo cosi affascinante. Mentre i miei coetanei impazzivano per Micheal Jackson o tifavano Ruud Gullit, io avevo come idolo Ventorro, il cavallo della Scuderia Quintili, un saurone stupendo che in quel periodo regnava vincendo tutte le corse a cui prendesse parte nel Gran Premio Marche. Ero anche un bambino fortunato perché il
buon Amedeo Quintili, proprietario del campioncino di provincia che io settimanalmente tartassavo al telefono di casa, mi invitava d’estate a passare una settimana a casa sua a contatto con Ventorro. Chi poteva essere più felice di me? Essere ospite a casa del proprio idolo e goderselo di persona….. roba per pochi. Fu cosi che scoprii quanta passione e affetto c’era dietro questi cavalli da strada, anche fuori dalle giornate di corse: l’ortolano che portava le carote e la verdura per il campione di casa, la vicinata sarta che aggiustava la coperta strappata, l’artigiano che si adattava a costruire paraglomi in gomma e sottofascia confortevoli, l’appassionato che passava per una
carezza…. tutti in attesa di mettere il vestito buono Domenica e andare a fare il tifo ed evadere dalla routine grazie a quell’esemplare che ti rubava gli occhi solo al passarti davanti. Cinquemila persone lungo un percorso di sette/ottocento metri, che fossero tutti pazzi criminali
fuori di testa? No! Gente normalissima, famiglie con bambini al seguito, lavoratori nel giorno di festa in cui regnava la buona educazione e l’amore per l’atleta cavallo.
Tanto era famoso questo circuito che vennero i primi osservatori da Buti per scegliere un possibile cavallo da ingaggiare per il Palio. Venivano quasi ogni Domenica.
Ventorro fu subito ingaggiato, vennero a provarlo in gran segreto una mattina presto su una dirittura. Amedeo Quintili guardava il suo campione con occhio languido come se avesse paura che ad ogni galoppata si consumasse troppo…le sue mani conoscevano a memoria quei muscoli,
quei tendini fragili, quei crini dorati, ogni giorno passava ore da solo con lui in scuderia in un intimità fatta di carezze e sussurri…chissà cosa si dicevano! La notizia trapelò subito nel turf stradarolo. Come poteva Amedeo lasciare a casa i suoi sostenitori? Non ci pensò su due volte e organizzò un grande pullman gratuito per tifosi e simpatizzanti, direzione Palio di Buti. Ora che sono in cammino con i miei amici e abbiamo passato la zona dell’arrivo dirigendoci verso il centro scorgo sulla sinistra un ponticello che attraversa il Rio: è Via del Ponte dove si trova una bella Villa adornata da Gelsomini. Nel 1990 Ventorro fu scuderizzato proprio qui, nel giardino di questa Villa che al tempo era chiusa e forse abbandonata. Avevano approntato un posto privato
dove era proibito entrare, celato da sguardi indiscreti grazie a grossi drappelloni di iuta, dove pochi di noi controllavano che il campione si rilassasse e facesse regolarmente i suoi bisogni evitando il minimo stress.
Rimango davanti a quel cancello impalato in silenzio, immerso in quel ricordo, il cuore mi scoppia nel petto…per fortuna i miei compari di ventura manco se accorgono.
Non c’è tempo per rimuginare altro, si va tutti in piazza dove siamo attesi da chi ci ospita. La festa è grande, volano gli abbracci, ci offrono da bere, il clima è caldo e c’è tanto da fare: presentazione dei fantini e poi alla cena di contrada. Già….i fantini! Li scorgo in mezzo alla massa festosa, chi beve, chi ti saluta, chi si fa un selfie coi
contradaioli. Li vedo sorridenti e umani col cellulare in mano, aperti gentilmente al colloquio anche con contradaioli di altri colori in un rimpasto di abbracci, sguardi, ammiccamenti benevoli conditi dal sorriso in questo clima di leggerezza e di amicizia. Se ripenso a quei tempi…..i fantini erano pressoché irraggiungibili, figure che poco avevano dell’umana specie, impossibile decifrare il loro sguardo o incrociarlo. Espressione truce, facce tirate di guerrieri che covavano dentro il fuoco di chissà quale demone, della vittoria o del tradimento? C’era tensione ed erano blindati dai rispettivi contradaioli e il colloquio con altre persone vivamente sconsigliato. Qualcuno dice che i fantini di allora erano molto romantici e poco lucidi, mentre quelli di oggi sono poco romantici e molto lucidi (alludendo al guadagno). Adesso è molto diverso, il progresso ha cambiato le cose, tutto avviene in maniera diretta, veloce, coi cellulari si comunica in mille modi, ci si inviano foto che anni fa avremmo scattato e aspettato qualche giorno prima di poterle vedere stampate. Il progresso ha reso il Palio un evento mediatico, puoi partecipare anche virtualmente. Sei presente di persona ma nello stesso tempo ti puoi rivedere nella realtà virtuale. C’è Brontolo che filma, fotografa, intervista, fa dirette on line mentre sta dietro di te e tu lo stai guardando sul Blog e chatti con amici che sono a casa. Isolamento sul cellulare? Manco a pensarci, il momento si vive alla grande in compagnia e si permette di viverlo chi non può essere presente. Il progresso impiegato in maniera intelligente da vita a qualcosa che ha del geniale. Figo! Ci avviamo al momento clou della serata, la cena di contrada. Si infiamma il corteo, i canti, le bevute fino ad arrivare al palazzo del convivio dove gli inni a squarciagola diventano assordanti. Io rimango esterrefatto, in disparte in silenzio vivo con distacco questa situazione non per snobismo ma per meraviglia. Ma il Palio si è già corso e vinto o si deve ancora disputare? Poi invece mi rendo conto che è la loro festa e l’attaccamento alla loro bandiera suggella il senso di
appartenenza che è motivo di giubilo. Mi guardo intorno in un tripudio di bandiere e fazzoletti biancorossi e imperiosa vedo svettare un icona di fusione fra il Gialloverde e il Biancorosso. Il gemellaggio fra San Rocco e Torre di Palme non potrebbe essere meglio rappresentato, le due bandiere si compenetrano e sanciscono il gemellaggio e la fratellanza oltre le distanze, oltre i campanili. Cosa ci può essere di più alto? Poi finita la cena la festa imperversa fino tarda notte e si dirama e compenetra in quella di altre contrade. D’altronde i Butesi si conoscono tutti fra loro e anche se appartenenti ognuno alla propria contrada il preludio alla disputa del Palio li rende comunque uniti nell’attesa prima della guerra. Chi vincerà il Palio porterà qualcosa di sacro in contrada ma nello stesso tempo il diritto di declamare le ‘’ralle’’ gli sfottò a cominciare dalla contrada nemica per proseguire poi verso le altre. Dal punto di vista antropologico credo che il Palio di Buti sia unico. Il messaggio che ne
scaturisce forte chiaro parla di umanità e fratellanza, di educazione ai valori. Persone che si urlano sfottò in faccia e si mirano ceffoni per poi abbracciarsi e andare a bere insieme, contradaioli perdenti che vanno dai vincitori a complimentarsi…solo a Buti! Perciò sarebbe il caso che i detrattori di queste manifestazioni, invece di additare da inquisitori, partecipassero per capire che ciò che fa stare cosi bene una comunità non può essere sbagliato.
Quando si comincia fare sul serio e si va sul percorso mi rendo conto del lavoro di organizzazione meticoloso, curato nei minimi particolari, volto a garantire la maggior sicurezza possibile per cavalli e persone. Buti si è adeguata alle leggi in vigore in materia di benessere animale in maniera impeccabile, tanti lavori sono stati fatti, tante cose sono cambiate. L’evento mediatico decolla, interviste, speaker ufficiale esperto del settore, schermi giganti. Una
volta gli echi delle gesta Butesi arrivavano da noi il giorno dopo, adesso li faccio vivere in diretta ad un caro amico costretto a rimanere a casa. Arrivano i cavalli della prima batteria in partenza, ritorna la febbre del ricordo, la mia mente rivive quei momenti del 1989 sfocati nei colori ma nitidi nelle dinamiche. Ventorro si avvicina alla partenza ballettando come suo solito, maestoso, serio e professionale come sapeva fare lui. Ricordo le facce di Bonito, Foglia, Ercolino, Bucefalo, truci e spietati,
disposti a tutto per vincere. Si davano battaglia nei modi più sleali, tutto era permesso, si strattonavano, si paravano appesi su quei missili al galoppo sfrenato, si prendevano per le briglie. Vincere o morire, questo sostanzialmente era il senso, la paura non era nemmeno lontanamente contemplata, ne il ragionamento.’’erano poco lucidi’’… Puro istinto alla ricerca della gloria della
vittoria…’’erano molto romantici’’. Penso che la maggior parte dei fantini di adesso se si trovasse nei canapi fra queste chimere potrebbe fare una sola cosa: scendere da cavallo e portarsi in salvo….’’molto lucidi e poco romantici’’. L’aria era tesissima e gelida, urla cupe dei Butesi, guerra spietata su quella strada. Ventorro partì
forte come suo solito e Bonito chiuse la pratica mettendoci del suo aggrappandosi al filetto di Derry River tenendolo dietro tutta la strada. In finale cominciò lo stillicidio delle partenze false e Ventorro era imparabile, Bonito non riusciva quasi a gestirlo, partiva come un proiettile e fermarlo diventava di volta in volta sempre più difficile. Vedevo quella giubba sbatacchiata sopra la sella come un cencio al vento di tramontana. Giuro che vidi la maschera imperturbabile e inespressiva di Bonito diventare umana. Fece trapelare la preoccupazione, quando tornando per l’ennesima volta verso il canape Ventorro si avventò a bocca spalancata su un siepone sopra il muretto davanti a me e sradicandolo totalmente come fosse un fuscello lo alzò in aria impennandosi per poi scaraventarlo a terra con violenza. Rimasero tutti di sasso nel vedere quel cavallo con la bava alla bocca e gli occhi indemoniati che non sopportava di essere fermato continuamente. Voleva partire e fare prevalere la sua legge, io lo conoscevo bene, lui sapeva come vincere. E quando alla fine fu buona, lo vidi scoccare come una freccia infuocata, veniva verso di me solo al comando. Giuro faceva tremare la terra il suono secco dei suoi zoccoli sul suolo Butese mentre Bonito allungato sul collo fondeva i suoi riccioli con la criniera. Passarono davanti e me come una ventata e gli gridai: Vaiiii….Vaiiiii !!!! …con tutto il fiato che avevo in gola e le lacrime che mi scendevano sulle guance non so se per il freddo o per l’emozione. Li vidi allontanarsi da me e dissolversi nel buio della curva del peso, avrei voluto godermeli ancora una frazione di secondo in più, ma avevano fretta, si stavano eclissando per raggiungere la gloria della vittoria. L’anno dopo Ventorro fece un altro miracolo e mi fece rivivere, con Foglia in sella, quella emozione tagliente come la lama di un bisturi nel vederlo sfrecciare a fendere il vento verso un altro chiaro successo. Solo a ripensarci mi si stacca la pelle….cosa può farti provare un cavallo! Una volta un anziano mi disse: “Ricordati che col cavallo ci puoi parlare. Quando mi
addormentavo per strada sul biroccio, la mia cavalla mi riportava a casa senza che la guidassi. Se voi di adesso vi addormentate alla guida dove vi portano i vostri cavalli di ferro? Fuori strada a farvi male o a morire!” Si affievoliscono gli echi lontani e ritorno in diretta a questo Palio moderno, dove emerge chiara la consapevolezza del buon senso e la professionalità dei fantini. Montano, con grande correttezza e assetto composto, cavalli sanissimi che hanno passato severi controlli veterinari, senza comunque lasciare da parte la malizia e la furbizia del fantino da palio. Lo spettacolo è grande e la tecnologia, che tutto velocizza, questa volta dilata i tempi facendoti rivedere sugli schermi giganti la corsa appena disputata . Quelle ventate in dissolvenza di trenta anni fa sono diventate moviole da godersi e commentare scrutando ogni piccolo particolare. La tecnologia spietata segnala ogni piccolo errore che magari l’occhio umano al naturale non avrebbe mai percepito. La festa è grande ed emerge anche il lato sportivo ippico per la raffinatezza di certi tecnicismi che rivediamo anche negli ippodromi.
Ciò che il tempo non ha cambiato è la genuinità delle emozioni nella vittoria, gli abbracci e le lacrime di gioia sono cose senza tempo, come i colori della contrada. San Rocco trionfa in un Palio tutto in salita che solo chi ha cuore e coraggio da Leone può vincere. Mi sorprende il Leone capocontrada che in mezzo al delirio del festeggiamento, nella sbornia delle emozioni di un impresa memorabile torna con i piedi a terra e rende omaggio ad un valoroso combattente, che correndo per i colori di San Rocco qualche anno prima, è caduto sul campo. Lo fa con grande empatia e sentimento. Questa è una cosa che mi ha sorpreso piacevolmente, come mi ha sorpreso vedere sui social, lo stesso capocontrada tornare a trovare nei giorni successivi quel cavallo che gli ha regalato questa vittoria. Andare in scuderia per accarezzarlo e guardarlo negli occhi, ringraziarlo, ripercorrere mentalmente quella impresa senza video ne
moviole, sussurrandosi chissà quali parole…..
S’è vinto il Palio intonano i Sanrocchini e incominciano le ‘’ralle’’ mentre noi dopo aver onorato i vincitori ringraziamo la cortese ospitalità e ripieghiamo, lasciandoci il Castello alle spalle, per affrontare il lungo viaggio che ci porterà a casa. Ripercorriamo tutta la strada verso la partenza mentre gli echi dei festeggiamenti risuonano sempre più lontani man mano che ce ne andiamo. Ripasso per quelle curve, cammino al centro di
quella strada in silenzio con lo sguardo in basso diretto a guardare le impronte degli zoccoli sul terreno. Tutto tace.
Arrivati alla partenza mi volto indietro un ultima volta….il percorso è vuoto…Ventorro non c’è…. gli echi delle annose battaglie spariti… Faccio spallucce, e riprendo la mia ragazza sottobraccio mentre un sorriso spontaneo mi solca il viso. Un era è passata e una nuova è in essere, il Palio di Buti è cambiato….ma è meglio cosi!
UNO SPETTATORE
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