26 Giugno 2023 in fondo interviste, la diretta video e foto
IL DRAPPELLONE PER IL PALIO DEL 2 LUGLIO 2023 DIPINTO DA ROBERTO DI JULLO
E’ di Roberto Di Jullo il drappellone per il Palio del prossimo 2 luglio dedicato alla
Madonna di Provenzano.
L’opera presentata questo pomeriggio nel Cortile del Podestà di Palazzo Pubblico è un
elegante quanto delicato dipinto didascalico, capace di generare una narrazione completa
e puntuale del Palio nel pieno rispetto della tradizione, in cui non mancano cenni storici
della città, ma anche della vita dell’uomo che l’ha dipinto, Di Jullo. Un racconto, una
“fotografia” del passato e del presente.
In alto, a protezione, il volto di una Madonna bambina con velo avvolto da un’aura di luce
oro e una dedica: A te advocata nostra. Accanto una rosa blu i cui petali raccolgono due
iniziali, quelle dei nomi della moglie Paola e del figlio Robert. Primo capitolo di questo
racconto su tela di seta.
Sotto, quasi in dialogo con la Vergine, in una tensione aspirazionale, un cavaliere che con
forza propende il braccio al cielo. Indossa un’armatura segnata dalla lettera F. Un’altra
dedica del maestro all’altro figlio Federico, prematuramente scomparso, ed ora
protagonista nella storica battaglia di Montaperti che, nel 1260, vide le truppe ghibelline di
Siena sconfiggere quelle dei guelfi di Firenze.
Al centro del drappo, il secondo capitolo di grande impatto visivo. Un gruppo di 10 cavalli,
elemento stilistico di Di Jullo. Trasmettono forza e impeto. Caratteristiche richieste su un
campo di battaglia, che sia Montaperti o l’anello di Piazza del Campo. Ma anche fluidità.
L’altra cifra figurativa del pittore molisano. Destrieri e cavalli rappresentati in un momento
di guerra dove domina un cromatismo che è un chiaro richiamo ai colori del tufo sul quale,
due volte l’anno, i senesi combattono la loro personalissima “guerra” di amore e passione.
In mezzo a questo tumulto di muscoli, zoccoli e teste, un altro frammento importante della
storia di questo artista che ha visto realizzare il desiderio di dipingere il Palio. Un racconto
affidato nuovamente alla simbologia con lo stemma di Pescocostanzo, città in cui lavora,
quello di Siena, di cui si è innamorato, della sua regione nativa ed infine della Regione
Toscana.
Il confine tra il vibrante campo di battaglia, luogo popolato solamente da uomini e cavalli, e
quello figurativo che descrive l’ “attesa”, è tracciato da un canape dipinto con un effetto 3d.
Questo terzo capitolo è declinato tutto al femminile. Un vero e proprio tributo alle donne.
Corpi rotondi e pieni che rimandano ai Bàrberi, le palline in legno dipinte con i colori delle
Contrade con le quali i bambini senesi giocano al Palio.
Fanciulle e mamme con i loro piccoli, avvolte, quasi protette, dalle bandiere che indicano
le 10 “consorelle” che si sfideranno in Piazza. L’araldica contradaiola rappresenta il loro
nome. E’ dalle espressioni dei loro volti che emerge il pathos dell’attesa, la bramosia della
vittoria.
Roberto Di Jullo con la sua opera è indubbiamente riuscito a sintetizzare storia e tradizioni
senesi, ma con il valore aggiunto di trasmettere intense sensazioni in chi la guarda.
Davvero un bel Drappo, bella quell’idea del Canapo, che, tra l’altro, alla mia domada alla Sindaco Nicoletta Fabio di cosa l’avessecolpita in particolare del Drappo mi dice appunto il canape che cade.
IL LABORATORIO ORAFO “IL GALEONE” HA REALIZZATO IL MASGALANO PER I
PALII 2023: UN OMAGGIO ALL’ARTE DI CUSTODIRE I RICORDI
Il Masgalano per i Palii del 2023 è un bellissimo bacile d’argento realizzato dal Laboratorio
orafo “Il Galeone” di Siena che, nella forma, ripercorre la tradizione senese. Con dettagli in
terracotta ed elementi in rame omaggia l’arte del saper custodire e conservare i ricordi. Le
tracce, gli scritti del passato. Una chiara quanto potente dedica al lavoro degli Archivisti
delle 17 Contrade che hanno offerto l’opera.
E, proprio a simboleggiare l’importanza di non dimenticare, in primo piano, da una base in
terracotta, emerge un libro dalla copertina in rame e le pagine in argento. Su quella di
destra una citazione di Cicerone: la memoria è tesoro e custode di tutte le cose, mentre
sull’altra una rappresentazione della città ripresa dall’affresco di Sano di Pietro, presente
nella Sala delle Lupe a Palazzo Pubblico, eseguito nel 1446 e raffigurante San Pietro
Alessandrino, tra i beati Ambrogio Sansedoni e Andrea Gallerani, che regge Siena.
Accanto al volume una penna d’oca, così da rimarcare la rilevanza della scrittura e dei
suoi custodi: gli archivisti.
Nell’uso della terracotta il richiamo al colore del tufo dove, infatti, è facile riconoscere
l’impronta che lasciano i cavalli durante la corsa.
Frammenti di memoria. Frammenti di storia racchiusi nella preziosità dell’argento, dal
quale emergono, a mo’ di cornice, gli stemmi ridisegnati e abilmente cesellati delle 17
Contrade. Una raffinata proposizione del bestiario senese. Questa la cifra stilistica degli
artigiani-artisti del laboratorio “Il Galeone”.
In alto gli emblemi, placcati in oro, del Magistrato delle Contrade, del Comune di Siena e
del Comitato Amici del Palio.
Voltando il Masgalano ecco la raffigurazione dei 9 spicchi che compongono Piazza del
Campo, 4 in terracotta e 5 in argento. Un ulteriore elemento decorativo ad arricchire
questo premio che andrà alla migliore comparsa che si distinguerà, per eleganza, dignità
di portamento e coordinazione durante la sfilata nel Corteo Storico del Palio del 2 luglio e
16 agosto 2023.
Roberta Ferri
Presentazione del Drappellone di Roberto di Jullo Roberto di Jullo. Il pittore dei cavalli che danzano
Hanno una caratteristica particolare le figure di Roberto Di Jullo: non mostrano
fissità, ma sembrano colte – sempre e tutte – in un movimento di danza.
Danzano i cavalli dei suoi quadri. Danzano le donne che, anche quando sono sedute
e apparentemente immobili, danno vita a un respiro che ha il sapore di un’antica
danza sacra di sapore antico, classico.
Le figure sembrano comunicarsi, fra sé, movimento e armonia; i cavalli si intrecciano
in un segno che è moto e energia pura, avviluppati in un nodo che sviluppa forme
nuove, materia indisciplinata e riottosa a ogni coercitiva domesticazione.
Eccolo qua il Drappellone di questo Palio di luglio 2023: al centro lo slancio dei
cavalli supera il canape in caduta, reso tridimensionale dal gioco dei chiari e degli
scuri, e si getta nella corsa che, però, non allude, scontatamente, ai tre giri di Piazza,
perché le figure esplodono in maniera centrifuga, insofferenti dello spazio nel quale
sembrano essere costrette, e si slanciano a sfondare le linee di confine del
drappellone, trasformando il momento immanente nella proiezione di un altrove di
assolutezza.
Volevate una metafora più forte di questa per definire la corsa senese?
Ogni corsa, ogni carriera è, certo, un qui e ora, ma è anche il ricongiungersi del
banale tempo dell’evento con un tempo metafisico della nostra festa, che non
appartiene al contingente, bensì al “sempre” della sua storia, in cerca di una
desiderata dimensione di eternità.
Ma se l’irrequieto groppo dei cavalli occupa il centro della scena, quel che c’è
intorno, dietro e sotto è un completamento concettuale che volutamente evoca e
intreccia sensazioni e emozioni.
Quel che si intravede dietro i cavalli che irrompono è un nembo biancastro,
un’evocazione della polvere che si leva al loro galoppo.
Un nembo? Ma nemmeno per sogno.
Da quell’evanescente e confuso biancore emerge una battaglia, controscena della
battaglia che in primo piano si danno i cavalli, con cavalieri che si scontrano
violentemente, mentre due di loro, con un gesto del braccio, sembrano indicare la
figura della Madonna in quella che (si lascia all’interpretazione di chi osserva) può
essere tanto un’invocazione quanto una convocazione sulla scena. E dal tutto, si
levano – sempre verso la Madonna – striature evanescenti come cirri leggeri: una
metafora di preghiera? o il manto protettore della Vergine su tutta la narrazione?
Personalmente propendo per quest’ultima interpretazione perché quelle linee
evocano il canto d’amore, di scarico della tensione, di gratitudine che si urla a
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squarciagola – musicalmente sgraziato, ma stonatamente armonico – che ciascuno
di noi (credente o no: questo non importa), col groppo in gola e gli occhi umidi,
innalza quando tutto è compiuto. Quel “Maria Mater” che sigilla l’atto finale della
vittoria conquistata. La battaglia allusa, appena accennata, suggerita da di Jullo
dietro le possenti muscolature in tensione dei cavalli è dunque il compendio
concettuale del Palio. Velocità, potenza, scardinamento di ogni protocollo, tenzone,
battaglia.
Tutta questa drammaticità trova un inaspettato contrappunto nella corona di donne
accovacciate e sedute, in basso, con indosso i colori delle dieci contrade, in una
composizione di movimenti che, di nuovo, fa danzare le figure. Donne rese nelle
forme morbide, arrotondate, ovoidali, anche opìme, dei loro posteriori (e in questo
caso sarebbe quasi doveroso – per quanto inopportuno data la presente circostanza
– usare un altro termine, plebeo, ma ben più evocativo per designare questa parte
del loro corpo). Donne mediterranee, le cui forme (secondo un modulo pittorico che
di Jullo elabora correntemente per la sua pittura) convocano una voluta e insistita a-
retoricità, sottolineata anche dalle fogge delle loro capigliature, raccolte in
rassicuranti, materni, chignon.
Donne che, nel caso del nostro drappellone, guardano con partecipazione la scena,
con i volti in alto e le bocche aperte in un urlo; che ignorano chi le osserva di spalle,
tranne una (senza colore di contrada: allusiva di quelle che non corrono, perché di
Jullo le ha volute ricordare tutte e diciassette, perché tutte e diciassette le ama) che
guarda chi l’ha dipinta, come di regola in tutte le rappresentazioni di gruppi
femminili del pittore.
Donne evocatrici di fertilità, presentate come depositarie non solo della
prosecuzione della vita fisiologica, ma anche di quella della passione, della cultura e
della memoria condivisa. In altro contesto, sarebbe venuto spontaneo rinviare alle
riflessioni di Bachofen o di Malinowski o a quelle più recenti della nuova
antropologia e del suo concetto di “matricentrismo” (non “matriarcato”, che è
concetto diverso e altrettanto urticante quanto quello di “patriarcato”), ma
tranquilli: non è questo il luogo, non è questo il momento. Se volete parlatene,
tuttavia, con lui, il pittore, e capirete quanto, di tale complesso aspetto delle
strutture relazionali, stia dietro un semplice gioco di forme femminili dagli ampi
fianchi.
La Madonna sovrasta tutta la scena: una Madonna dal volto dolce, ma
dall’espressione attraversata da una sorta di segreto motivo di mestizia. Una
Madonna che, in realtà, è un busto di ceramica a immagine di quella venerata in
Provenzano, come ce ne sono ovunque.
Il senso di questa scelta è preciso: non è un espediente iconografico frutto di ricerca
di originalità, bensì la volontà di raffigurare una Madonna che non sta nei Cieli
lontani; questa è la Madonna che convive con la nostra quotidianità; quella che
incontriamo per la strada sui muri, e alla quale, furtivamente, velocemente, magari
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anche distrattamente, ma non senza partecipazione, si lancia un’occhiata. Di
preghiera (chi crede) o di affettuosa co-appartenenza, come si fa con chiunque è
parte della nostra comunità (e questo lo facciamo tutti: credenti o no).
I cromatismi che illuminano il drappellone, e il loro risultante, finale concerto
sottolineano proprio questo senso di serena convivenza fra immanenza e
trascendenza; sciolgono le immagini di tensione in acquietanti abbandoni. Alla fine
di ciò che ha creato spasimo c’è qualcosa che ci avvolge, ci rassicura, ci dà fiducia e
speranza.
Di Jullo è riuscito, insomma, a unire in questa composizione che abbiamo sotto gli
occhi alcuni concetti/sensazioni che, almeno in apparenza, difficilmente paiono
poter convivere: irruenza, serenità, inquietudine, ironia.
Bisogna essere davvero dei maestri per riuscire a tenere insieme così
armonicamente registri tanto differenti.
Questi sono i concetti pittorici chiave dell’intera sua opera. Chi abbia avuto modo di
visitare la mostra delle sue opere che, in questi giorni, è ospitata presso il Palazzo
Sansedoni, alla Fondazione Monte dei Paschi, e chi si ricorda della personale di
Roberto di Jullo ai Magazzini del Sale nel 2019 ben se ne rende conto. Il suo
percorso artistico si riassume in questi stilemi, caratterizzati dalla scelta della
centralità dello “scheletro”, dell’impianto della figura. Io – dice di Jullo – più che
pittore mi sento disegnatore e per un disegnatore l’impianto dell’immagine è
fondamentale.
E questo se lo porta dietro fin dai suoi primi passi nel mondo dell’immagine
rappresentata.
Nato a Forlì del Sannio nel 1945, segue per cinque anni la Scuola d’Arte a Isernia
(facendosi oltre 60 chilometri tutti i giorni), prima di spostarsi all’Accademia di Belle
Arti di Napoli per poi trasferirsi, nel 1964, a Roma dove entra in contatto con la
Farnesina e gli Istituti di Cultura Italiana all’Estero, configurandosi, per questo, come
ambasciatore dell’arte e della cultura italiane in una serie di Paesi, soprattutto del
Mediterraneo: è a Tunisi, a Algeri, a Atene, a Salonicco, fino alla Turchia.
Impara ad avvalersi di tutte le tecniche, partendo dall’acquaforte e dalla puntasecca
su lastra di rame, per approdare alle altre, senza mai acquietarsi su una anziché
un’altra. Irrequieto e incoercibile nella tecnica quanto nello stile. Alla mia domanda
“chi fuor li maggior tui?”, a chi ti sei ispirato?, chi senti artisticamente vicino?, mi è
stato risposto con una risata. Nessuno. Ho avuto contatto – soprattutto a Roma –
con quanto di meglio c’era e c’è sulla scena dei maestri della pittura (qualche nome?
De Chirico, Vespignani, Sughi, Attardi) però non ho mai aderito ad alcuna corrente,
ad alcun movimento, né ho avuto alcun speciale autore cui ispirarmi. Ho sviluppato
quei temi che sentivo miei nelle forme che sentivo mie: ritratti, paesaggi, donne
(appunto) e cavalli.
Cavalli, sì, ma quello che oggi è uno dei soggetti-chiave di di Jullo entra, forse
proprio per ultimo nel suo atelier: sostanzialmente dal 1973 quando una mostra
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presso un circolo ippico lo porta ad affrontare questa figura, che egli rappresenta
con maniacale precisione, favorito dalle acquisizioni tecnico-anatomiche apprese
nell’adolescenza. I suoi cavalli non sono mai resi in forma simbolica, astratta o
allusa. Hanno fasci muscolari scolpiti, anatomie correttissime, perché di Jullo,
l’anatomia, l’ha studiata a fondo e i cavalli che raffigura potrebbero comparire nelle
tavole di un trattato di veterinaria.
Il soggetto diventa, da questo momento, una delle sue cifre caratterizzanti e
identificative: “E’ stato ed è questo il suo tema preferito” scrive di lui Francesco
Sabatini, suo, per così dire, compaesano perché è nato a Pescocostanzo, dove il
pittore ha il suo atelier. Sabatini, oggi Presidente emerito dell’Accademia della
Crusca, è il dominus della lingua italiana che nel 2001 commissiona a di Jullo una
delle tradizionali, accademiche “pale”, che il pittore realizza rappresentandovi un
contadino che ventila il grano, corredata dell’impresa araldica “L’aura mi volve et
son pur quel ch’i m’era” (Petrarca, Canzoniere, 112, verso 4). E, continua sempre
Sabatini, il tema (quello del cavallo) “si rinnova di opera in opera, con tutte le
variazioni possibili. Il collo proteso ora verso l’alto, ora verso una meta invisibile, ora
in una torsione che rivela lo spasimo”. I suoi cavalli non hanno ferri, non hanno
finimenti, si affiancano l’un l’altro, perfino si aggrediscono o sembrano baciarsi,
perché i cavalli per lui sono metafora della vita che alterna e fa convivere
aggressività e amore.
Di Jullo negli anni della “dolce vita” di un’Italia lanciata verso il futuro e piena di
ottimismo e speranze, a Roma (dove peraltro ancora lavora) si muove nel campo
dell’illustrazione pubblicitaria, della scenografia (conosce Fellini, Carmelo Bene,
collabora con il Festival di Spoleto per quattro rappresentazioni teatrali nel 1967). E’
collaboratore grafico per i progetti didattico-audiovisivi del Ministero della Pubblica
Istruzione (tavole 21×28 realizzate a pennello e con gli script fatti con i letraset:
preistoria pura). Viene chiamato quale disegnatore dei servizi del Telegiornale RAI,
ma quando gli offrono il contratto per un posto fisso risponde “no grazie”. San
Filippo Neri avrebbe detto “preferisco il Paradiso”, lui dice “preferisco restare
libero”. Che è più o meno la stessa cosa.
La capitale e i suoi sirenici richiami, ben lo si capisce, non lo irretiscono: il legame
con la sua terra sannitica non viene mai reciso: perfino in questo drappellone due
minuscoli stemmi, appartati, discreti, ma tanto garbatamente quanto
orgogliosamente presenti, convocano la sua origine: quelli del Molise e di
Pescocostanzo, che, in questo caso, sono il suo manifesto di una coniugazione con la
nostra, di terre, perché di Jullo li incastona in una sequenza che li vede affiancati alla
Balzana senese e al simbolo della Toscana.
Questo Palio, del resto, non è stato prodotto nel suo atelier di Pescocostanzo e
nemmeno in quello di Roma. E’ nato qui, a Siena, nello studio di un altro pittore di
drappelloni, Tommaso Andreini, un artista al quale di Jullo si è appoggiato in una
sorta di “laboratorio” d’antico stampo, caratterizzato da due artisti che si intendono,
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si comprendono, si scambiano impressioni e suggerimenti. Ed è stato dipinto, il
drappellone di questo 2023, sullo stesso tavolo sul quale è stato partorito quello del
2016. Se fatto altrove, il Palio di di Jullo non avrebbe avuto, probabilmente, lo stesso
carico di emozioni, lo stesso “sapore”. Ci voleva Siena, ci volevano i suoi colori, i suoi
rumori, le sue luci, le sue sensazioni, la sua gente. E di Jullo ha fatto, proprio per
questo, per mesi, un bagno di “sienitudine”, girando per le strade e soprattutto
parlando con i senesi, continuativamente, con tutti (credo, anche con i colonnini di
Piazza) per entrare dentro questa città e respirare con questa gente particolare.
Parlando di Palio, sì, di Contrada, certo, ma anche di vita normale, quotidiana, di
storie personali, a volte perfino piene di dolore e di tristezze. Perché è così che si
capisce una comunità, è così che si capisce una città, che si capisce quel che pensa
e sente. L’omaggio che di Jullo ha fatto a questo modo di essere di noi senesi sta in
un piccolo, quasi appartato particolare: fra i cavalieri che combattono spunta la
piramide del Colle di Montaperti, per far capire che quella non è l’evocazione di una
qualsiasi scena di guerra, ma è l’evento che non si scolla (purtroppo o per fortuna:
comunque inevitabilmente) dalla memoria collettiva di questa città.
A di Jullo è capitata una cosa buffa: qualcuno gli ha detto “Ma lo sa, maestro, che il
Palio di luglio, lo dipinge sempre un senese?”.
Non è vero, lo sappiamo: da tempo non è più così. Però questa volta l’interlocutore
del pittore ci ha dato.
In questo caso, il drappellone l’ha davvero dipinto un senese. Che sia nato altrove è
un epifenomeno trascurabile, perché Roberto di Jullo ha scelto Siena come una sua
altra terra di arrivo e tutto ci dice che questa città lo ha sentito e accolto come figlio
suo: come senese.
Duccio Balestracci
Presentazione del masgalano 2023 offerto dagli archivisti delle 17 contrade
Buonasera.
È un grande onore presentare alla città il masgalano offerto dagli archivisti delle
diciassette contrade, che ringrazio tutti di cuore: è per me stato un privilegio aver condiviso
assieme a loro questa impresa.
La realizzazione dell’opera è stata affidata alla bottega orafa Il Galeone di Siena, che nel
contesto di un libero concorso indetto dagli archivisti ha saputo interpretare al meglio i
gusti della committenza.
Il Galeone nasce nel 1998 grazie all’unione di Giovanna e Federico, entrambi orafi.
Giovanna è un artista che proviene dalla scuola di scultura, e già all’età di sedici anni
frequenta il laboratorio del maestro Passerini a Siena, dove si forma professionalmente e
grazie all’incoraggiamento del proprio maestro inizia la propria attività professionale,
partecipando con i suoi lavori a fiere ed eventi internazionali, dove incontra Federico, con
cui condivide la passione per l’oreficeria, e con cui inizia una collaborazione che li porterà
ad aprire un vero e proprio laboratorio bottega nel centro storico di Siena.
Dal 2004 entra a far parte del Galeone anche Caterina, una delle più promettenti allieve
del corso di oreficeria all’Istituto d’arte di Siena, diretto da Giovanna.
Il continuo studio di nuove forme, la ricerca di nuovi strumenti di lavoro, accompagnata
all’uso delle tecniche tradizionali, hanno permesso nel tempo al Galeone di farsi
conoscere alle mostre artigiane nazionali ed internazionali, così che nel 2015, Giovanna e
Federico ricevono dalla regione Toscana l’attestato di Maestri artigiani; in seguito, nel
2018, l’Osservatorio dei Mestieri d’Arte (OMA) riconosce il Galeone nelle eccellenze
artigiane italiane.
Si deve essere grati a tutte questi professionisti, che mediante le loro botteghe, con estro
e capacità, permettono di tenere vive quelle conoscenze artistiche e professionali che
hanno da sempre costituito un vanto per Siena.
Modellare il metallo, nel caso specifico l’argento, richiede pazienza, forza ed anche
dolcezza nel manovrare gli strumenti che permettono di creare l’oggetto d’arte, il quale –
tengo a dirlo- : è realizzato interamente a mano, senza fusione.
L’approccio ad un opera come il drappellone o il masgalano, non è scontato per un artista
moderno, perché deve ideologicamente seguire i presupposti dell’arte tradizionale: infatti
l’oggetto che dovrà realizzare possiede già una cornice simbolica efficace, è un premio
ambito dalle contrade, e questo conferisce di per sé un valore all’opera stessa a
prescindere dall’aspetto artistico.
Il compito dell’artista è quindi quello di riempire la “cornice” con un oggetto bello: egli deve
avere la capacità di innalzare un oggetto comune alla dignità del contesto che
rappresenta.
Più la cornice ideale è bella più il compito dell’artista diventa arduo.
(e nel caso nostro la cornice è immensamente bella!)
Gli artisti del Galeone hanno materializzano questa ideale cornice mediante il bacile in
argento, che costituisce la base fisica e concettuale dell’opera, formata da un piatto in
argento sbalzato a mano, sul cui bordo sono rappresentate, su disegno originale, le
diciassette contrade con la propria impresa, realizzate in argento con le tecniche del
traforo, cesello, saldatura a fiamma e brunitura, disposte in ordine alfabetico in senso
orario (quello della corsa del palio).
Cimentarsi nella creazione di un bestiario originale delle contrade è qualcosa di
gratificante e complesso allo stesso tempo, perché un artista si misura con araldiche
antiche, che si sono raffinate nel corso di oltre cinquecento anni.
Non sono banali stemmi, ma sono dei talismani totemici che proteggono i propri popoli.
Nel bordo superiore infine si trovano, in apologetica protezione delle consorelle,
rappresentati gli stemmi del Comune di Siena, del Magistrato delle contrade e del
Comitato amici del palio impreziositi da una bordatura in oro a 18 carati.
Il cuore del bacile è riempito di elementi che rimandano al fondamentale ruolo degli
archivisti, che è quello di conservare e tramandare le nostre memorie.
Sulla parte sinistra si trova un libro aperto in argento, ad altorilievo realizzato con la
tecnica dello sbalzo, in una pagina del quale è rappresentata, incisa a mano con bulino e
fresa, la vista di Siena, ripresa da una raffigurazione pittorica di Sano di Pietro, mentre
nell’altra pagina è riportata la frase tratta dal De Oratione di Marco Tullio Cicerone : “La
memoria è tesoro e custode di tutte le cose”.
Il libro è completato da una copertina in rame sapientemente patinata.
La memoria e la sua conservazione, sono il tema che sta alla base di questo masgalano, e
sono anche il senso stesso di un archivio di contrada, perché è davvero difficile
immaginare il futuro per le nostre contrade senza una memoria.
A fianco del libro si trova una penna d’oca, strumento iconografico che completa il rimando
al lavoro svolto dagli archivisti, eseguita anche questa in argento e modellata con la
tecnica del traforo, sbalzo, cesello, saldatura a fiamma e brunitura finale.
Gli elementi appena descritti che emergono nel centro del bacile, sono adagiati in un letto
di tufo che porta le tracce degli zoccoli, a testimoniare l’avvenuto passaggio dei barberi,
realizzato in terracotta, modellata e stratificata.
La terracotta rappresenta nel panorama artistico odierno un medium potente e funzionale
al linguaggio espressivo contemporaneo, ingloba in sé i quattro elementi fondamentali di
tutte le cosmogonie: la terra, madre generatrice delle nostre radici, l’acqua nutrice che la
plasma, l’aria che la consolida ed il fuoco che la purifica rendendola eterna.
La Sapienza messa dagli artisti del Galeone nell’uso dei materiali e la loro capacità di
modellarli, riescono quindi a trasmettere in maniera immediata, a chiunque osservi l’opera,
il valore che gli archivi hanno per le nostre contrade.
È un masgalano di facile lettura per un senese, anche se intriso di simbolismo e carico di
significato; nessun elemento che compone l’opera è casuale, ed ognuno di questi occupa
un preciso posto ed un preciso significato.
L’opera prende origine dal concetto classico del bacile in argento e si sviluppa in una
chiave moderna inserendo l’elemento della terracotta da cui emergono gli strumenti della
memoria e della sua conservazione.
E sta proprio in questo la chiave di lettura: conservare e proteggere la tradizione, senza
aver timore di usare i nuovi strumenti che ci mette a disposizione la tecnologia, non
usiamo più la penna d’oca ma tablet e pc che ci permettono di salvaguardare e proteggere
la nostra storia con ancora più precisione ed attenzione.
Avere cura del passato significa prendere coscienza del futuro.
Riccardo Manganelli
Archivisti delle 17 Consorelle
Presentazione della Committenza per il Masgalano 2023
Buonasera Signor Sindaco, buonasera agli Onorandi Priori, a tutte le autorità presenti e a
tutti i senesi che stasera rinnovano la loro grande Festa.
Finalmente! Finalmente siamo qui , finalmente siamo riusciti ad arrivare a questo
momento atteso da tanti anni, fin dal Febbraio del 2016, finalmente riusciamo a donare a
Siena e alle sue contrade il nostro Masgalano.
E’ stata un’attesa lunga, davvero tanto lunga, anni che ci hanno visto sempre determinati
però a raggiungere il nostro scopo, supportati di continuo dai nostri Priori, a cui voglio dire
un forte “ Grazie!”.
Quest’idea è nata quasi per gioco in una fredda serata d’inverno durante una chiacchierata
tra gli Archivisti delle 17 consorelle.
“Archivisti per passione, amici per scelta”, questo è stato il motto che ci ha animato fin
dall’inizio, da quando cioè, andando dietro alle frequenti istanze dell’allora Decano degli
Archivisti Francesco Fusi della Torre e con l’aiuto informatico di Giacomo Cancelli ( in
quegli anni Archivista della Nobil contrada dell’Oca) , tutti insieme abbiamo dato vita al
quarto Quaderno del Magistrato su “ I sonetti delle Vittorie negli Archivi di Contrada”.
Un lavoro meticoloso che ha prodotto un libro che è risultato essere la sintesi perfetta fra
le parole scritte e la moderna tecnologia, un progetto di grande precisione portato avanti
da tutti con impegno ma anche con la gioia di incontrarsi e collaborare , di condividere
quello per cui le nostre contrade ci hanno chiamato a lavorare.
Perché gli Archivisti per l’appunto, si occupano degli Archivi, quel patrimonio storico che
ci permette anche oggi, in un’epoca in cui la carta stampata è sempre meno importante, di
conservare, cercare, trovare, fare scoperte, studiare ciò che ci è stato lasciato in eredità.
Il gruppo degli Archivisti delle 17 Consorelle nasce proprio con l’ottica di aiutarsi a
condividere i progetti, fermo restando la propria peculiarità e caratteristiche.
Perché se è vero che l’Archivista è quella persona che in Contrada trovi china per ore a
leggere vecchi verbali di Assemblee di secoli fa dove viene descritto un mondo tanto
diverso da quello attuale, è altrettanto evidente quanto è bello condividere queste
informazioni con coloro che con te condividono questa passione.
Si fa presto a parlare di verbali, e storie, ma se ci si pensa un attimo, quella che oggi è una
email, 50 anni fa era un invito scritto a mano ed inviato in buste di carta patinata e color
paglierino, quello che oggi è il replay su Youtube del Palio era una descrizione minuziosa
riportata con bella calligrafia su un librone rilegato a mano, mentre l’attuale Rid su un
conto corrente bancario era il soldo di un ciabattino per l’acquisto di un bandierone o per il
restauro di un tabernacolo che acquisiva nei libri contabili la stessa dignità dell’offerta del
ricco Capitano o del Priore.
Ma l’Archivista di Contrada fa questo: cerca descrizioni di eventi nascosti in qualche piccola
raccolta dimenticata in vecchi armadi, setaccia le cronache per un ricordo di un accaduto,
meglio ancora se sconosciuto o andato dimenticato con il passare degli anni.
Questi siamo noi, gente che ama leggere, studiare e confrontare antiche scritture con
moderni testi, a cui riesce facile entusiasmarsi leggendo le parole scritte su una dedica ai
protettori in occasione del giro del Santo Patrono di tanti anni fa , gente che ama lavorare
nel silenzio delle proprie stanze completamente rapita da appassionanti letture di antichi
manoscritti.
Direte “questi sono matti!” ma la passione produce anche questo!
Prima di concludere, però, è doveroso fare un po’ di cronistoria su come siamo arrivati qui:
Nel 2015 oltre ai consueti ottimi rapporti istituzionali tra noi abbiamo cominciato quindi a
collaborare grazie anche alla conoscenza personale che pian piano si è trasformata in
grande amicizia, un sentimento schietto e sincero, forte e saldo che ci ha permesso in
questi anni di raggiungere obbiettivi che mai prima d’ora erano stati raggiunti.
Nel 2019, come ho detto, esce il “Quaderno del magistrato su “ I sonetti delle Vittorie
negli Archivi di Contrada”, un lavoro auspicato e iniziato con il Rettore del Magistrato di
allora Nicoletta Fabio (il nostro Sindaco attuale con cui vorremmo continuare questo bel
rapporto di stima e collaborazione) e terminato con il rettore Pierluigi Millozzi.
Nel frattempo portavamo avanti l’ambizioso progetto , poi realizzato, di un ciclo di 3
conferenze che hanno visto la partecipazione di tantissimi contradaioli e non, gentilmente
ospitati dalle Direttrici De Gramatica e Cardinali nella sala conferenze dell’Archivio di Stato
di Siena , sempre stracolmo di gente in tali occasioni.
Giovanni Mazzini (archivista della contrada della Tartuca) nel 2018 ci parlò di “Origini
storiche del Palio delle Contrade fino al primo Palio alla tonda”;
Armando Santini (archivista della contrada capitana dell’Onda) nel 2019 tenne un
conferenza sul tema “Le regole della Festa – Dalle prime carriere al Palio moderno” ;
e dopo il forzato stop dovuto alla pandemia, Margherita Anselmi Zondadari (ex archivista
della contrada della Selva) nel 2023 ha concluso questo ciclo parlando del “Corteo storico
tra 800 e 900”.
Tre temi che hanno aperto nuove prospettive sia nello studio di questi argomenti a noi
tutti tanto cari, sia nel rapporto fra gli archivi di Contrada e l’intera città. Uno sforzo
organizzativo enorme per un gruppo come il nostro di gente che si affacciava alla ribalta
della vita cittadina in punta di piedi e per la prima volta.
E in questi anni con quanta gioia abbiamo partecipato in massa alle presentazioni di libri, di
mostre che hanno visto impegnate le nostre Contrade nel mantenere alta la cultura e lo
studio nella nostra città!
Finalmente stasera, in questo Entrone pieno di gente, essere arrivati a questo momento
tanto atteso è un’emozione difficile da sintetizzare ma eccoci qua, tutti insieme come una
sola persona, uniti come sempre e onorati di scrivere una pagina della storia di Siena.
Ma perché abbiamo voluto donare il Masgalano?
Noi siamo gente un po’ all’antica, ci piace un’opera tangibile, ci piacciono i ricordi messi
per iscritto, le copertine di pelle indurite dagli anni, ci piace la carta che fruscia e il suo
profumo, vogliamo sentire il peso di un oggetto e un’ idea che si realizza come il poter
offrire alla città il nostro Masgalano è un sogno che si concretizza e diviene parte della
nostra Storia, la Storia della nostra città, della nostra gente, la Storia del nostro passato che
diviene il nostro futuro.
Questa volta siamo noi ad affidare la memoria di una parte della nostra vita e del nostro
percorso alla Storia di Siena e di questo siamo orgogliosi ed estremamente contenti.
Se c’è una cosa di cui siamo certi è che questo Masgalano, il nostro, sarà conservato dalla
contrada che lo vincerà con lo stesso amore, dedizione e cura con cui noi archivisti delle 17
consorelle conserviamo tutto ciò che riguarda la nostra storia, la nostra città, le nostre
amate contrade.
In questo splendido piatto abbiamo voluto che fosse cesellato tutto l’amore, la
determinazione, il desiderio di studiare il passato per aprirsi al futuro, la nostra
consapevolezza di ricoprire un incarico fondamentale in ognuna delle 17 consorelle : quello
dell’ Archivista di Contrada. Grazie!
Costanza Bianciardi Fedi
In nome degli Archivisti delle 17 consorelle
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