PALIO LUGLIO 2022

PRESENTAZIONE PALIO E MASGALANO IL TUTTO 26 GIUGNO 2022

27 Giugno 2022

Tutti i discorsi e i filmati di ieri alla presentazione del Drappo e del Magalano
Pier
26 giugno 2022
EMMA SERGEANT HA DIPINTO IL DRAPPELLONE PER IL PALIO DEL 2 LUGLIO
2022
Il drappellone realizzato per il Palio del prossimo 2 luglio, corso in onore della Madonna di
Provenzano e dedicato al 75° anniversario del Comitato Amici del Palio, porta la firma di
Emma Sergeant.
L’opera presentata questo pomeriggio nel Cortile del Podestà di Palazzo Pubblico è un
elegante lavoro figurativo, in cui l’abile tratteggio a gouche, esalta la rappresentazione
dando vita a quel connubio tra sacro e profano che il Palio di Siena è in grado di creare.
Di grande impatto visivo la testa di un cavallo che domina tutta la parte centrale. Il vero e
unico protagonista della Festa senese. Sprigiona bellezza. Forza.
In alto, sulla destra, la riproposizione di un momento della corsa. Come in un fotogramma:
due contrade sull’anello di tufo con sullo sfondo il Palazzo comunale. Dalla parte opposta il
volto della Vergine nel quale ritrovare i lineamenti dell’artista inglese. Nella Madonna
dipinta dalla Sergeant si può così vedere la santissima madre di Gesù e la donna della
nostra contemporaneità. Un’iconografia mariana che attinge e trova ispirazione dalla
realtà. Un armonico quanto intenso valzer di segni: talvolta più intensi e profondi, creati da
una mano decisa, a volte più sfumati, quasi soffiati, che la avvolgono in una dimensione
spirituale.
In basso il bestiario delle 10 Contrade che partecipano alla Carriera.
Nel drappellone della pittrice inglese il cromatismo è estremamente ridotto. A dominare è
il nero, con le sue sfumature e l’arancio che satura, con un effetto tipo spugnatura, gli
spazi lasciati vuoti dalle figure. Un colore caldo usato come fonte di luce per far emergere
il racconto icastico della corsa e della storia.
Una scelta forte, quella di usare solo due colori, ma perfetta per spinge lo sguardo dello
spettatore all’estremo. Lo costringe ad interrogarsi sul perché. Lo costringe a innescare un
dialogo sensoriale con l’artista. Tante le possibili “letture”.
Forse anche quella di connotare l’opera di atemporalità. Un po’ come guardare un’antica
lastra fotografica. Il cromatismo si sprigiona dal ricordo e dalla memoria. Emerge
direttamente dal cuore. Il lavoro donato da Emma Sergeant alla città di Siena è
sicuramente originale e unico, caratterizzato da una cifra stilistica di altissimo livello.
Tratto elegante e tinte decise. Come il carattere dei senesi.
Del resto il nero è associato al potere, al controllo, al mistero. E Siena, da secoli, ha fatto
di tutto, riuscendoci, per mantenere vivo il suo Palio con azioni innovative che hanno
permesso di “adattarlo” alla modernità senza snaturarlo. Come i senesi ci siano riusciti è
tuttora un mistero, forse è per l’entusiasmo e l’energia, tradotti proprio dal colore
arancione, con i quali hanno difeso una tradizione fatta di amore e passione.
La Sergeant ha avuto modo di conoscere Siena, ben rappresentata, infatti, sul drappo
anche con i tre grandi stemmi dei Terzi (Terzo di Camollia, Terzo di Città e Terzo di S.
Martino), l’antica suddivisione della città, come a rimarcare il forte senso di appartenenza
dei suoi cittadini. Una peculiarità sempre più diluita in molte altre realtà, così come le
tradizioni, contenitori naturali e non artificiosi dei valori che una comunità riesce a
trasmettere alle generazioni successive.

26 giugno 2022

DANTE MORTET HA CREATO IL MASGALANO PER I PALII 2022

E’ di Dante Mortet, il Masgalano che andrà in premio alla migliore comparsa, che si
distinguerà per eleganza e dignità di portamento e coordinazione, durante la sfilata nel
Corteo Storico in occasione dei Palii del 2022.
Mortet, scultore e cesellatore, ha interpretato, con grande ironia, l’anima goliardica che,
quest’anno, veste il premio offerto dall’Associazione Culturale Feriae Matricularum
Senensium. Quel tradizionale spirito tipico del mondo universitario, in cui alla necessità
dello studio si accompagnano il piacere della compagnia e del divertimento tra studenti, si
materializza così in questo ambito riconoscimento paliesco.
Ed è proprio la mano, l’elemento scultoreo più amato da Mortet. Tante le mani celebri
realizzate nella sua bottega di Roma. Da quella di Ennio Morricone a quella di Quentin
Tarantino, Robert De Niro, Kirk Douglas. Il motivo di questa passione? Perché è con le
mani che si crea la bellezza, soprattutto quella che nasce dall’estro creativo di un grande
artista come Mortet, erede di un antico sapere artigiano. E sempre con le mani si
comunica, non solo attraverso un’opera, ma anche con un gesto, una carezza, una stretta
di mano, appunto. Ecco quindi che la sua firma stilistica si ritrova appieno in questo
Masgalano. In quella bellissima mano in bronzo, placcata in argento, tesa verso l’alto e
carica di simbologia con una duplice interpretazione. Ed è proprio in questo doppio
significato gestuale: la mano dello studente alzata al cielo che stringe il goliardo
nell’intonare l’inno del Gaudeamus, e quella dalla “lettura” più ribelle e irriverente dal
comune significato che si racchiude quell’ideale romantico proprio della Goliardia. La
volontà di essere liberi.
Dal cappello, placcato in oro, pendono 7 ciondoli. Rappresentano i valori della goliardia
senese: bacco, tabacco, venere, il teatro, la battaglia di Curtatone e Montanara del 1848
durante la prima guerra d’indipendenza italiana e alla quale prese parte un battaglione di
studenti e docenti universitari, lo stemma dell’Ateneo senese e, infine, un barbero che sarà
dipinto, dopo i due Palii con i colori della Contrada che vincerà il Masgalano.
La scultura è retta da un piedistallo in marmo nero e bianco, simboleggia la Balzana, lo
stemma di Siena, appoggiato, a sua volta, su una base che raffigura Piazza del Campo
anch’essa bagnata nell’argento.
Il Masgalano di Mortet è un lavoro che punta a stuzzicare l’immaginazione di chi osserva
questa opera portandolo a domandarsi quale sia il vero e più profondo significato di quella
mano e del gesto che compie. E con il conseguente e inevitabile risultato di stimolare un
dibattito, un confronto fatto anche e soprattutto di ilarità e ironia, lo stesso che da anni vive
e rivive nella goliardia delle Feriae Matricularum, e che ci ricorda quanto un sorriso possa
essere un importante strumento di rottura, capace di scuotere le menti di tutti.

26 Giugno 2022

Presentazione del Drappellone di Emma Sergeant
per il Palio del 2 luglio 2022

DUCCIO BALESTRACCI
Emma Sergeant, inglese, è, si può dire, figlia d’arte; nel senso primo del
termine, perché la sua è una famiglia di artisti, ma anche nel senso che è
figlia, per così dire, d’arte di una cultura british di lungo corso, fatta di un
mix di eleganza, tradizione, consapevolezza delle proprie radici e, al
tempo stesso, di curiosità, anticonformismo, voglia di conoscere, richiamo
di un altro e di un altrove.
Nella sua formazione c’è (e non è un epifenomeno né un passatempo, ma
un’adesione empatica quale noi senesi conosciamo benissimo) il
britannicissimo amore per il cavallo. E non è un caso se questo animale
finisce per essere uno dei soggetti più frequentati dalla pittrice. Nei suoi
quadri, il cavallo è, sovente, raffigurato di muso, ma, molto spesso, il
nobile animale assume un’imponenza quasi monumentalizzata dalla
postura ferma e dalla tridimensionalizzazione data dalle sfumature, dai
chiaroscuri, dal gioco dei grigi (soprattutto nelle immagini in bianco e
nero ) che rinvia ai destrieri raffigurati a Mantova nel Palazzo Te da Giulio
Romano: quei cavalli della razza Gonzaga, imbattibili nei palii italiani del
Rinascimento.
Autrice di ritratti fortemente materici in cui le pennellate scolpiscono le
espressioni come fossero colpi di scalpello, Emma Sergeant, la sua vita e i
suoi stilemi, sono, però, ben presto risucchiati dall’esotico: appena
venticinquenne viaggia in Afganistan, una terra della quale cattura colori
e volti resi come di deità pagane; viaggia in Africa subendo la fascinazione
di vestimenti dall’iperbolico cromatismo, e di espressioni ieratiche,
impenetrabili, talune quasi da sembrare in trance sciamanica.
Non finisce mai di sfidare se stessa: si cimenta con la dimensione
ipertrofica nel ciclo dei delfini azzurri, opere talmente grandi da risultare
difficoltosissime da spostare; si addentra in un filone al limite del
metafisico: i clown in abiti e situazioni sceniche improbabili e inquietanti;
quasi di regola dis-centrati (come moltissime altre sue figure: inclusi

alcuni ritratti) quasi che il centro euclideo fosse, nella sua mente, un
irritante inchiodamento che castra la libertà della figura, alla quale,
invece, si vuol lasciare la scelta di cercarsi la porzione di scena in cui si
sente maggiormente a suo agio o dalla quale, comunque, riesce meglio a
comunicare l’inquieto animo di chi, quella figura, ha realizzato.
E il tutto, sempre adattando le tecniche agli stili e ai soggetti, dalla tecnica
mista tempera/acquerello a quelle rinascimentali, al bianco e nero. Chi
voglia guardarsi la serie dei ritratti realizzati in carcere, quelle figure in
cui il dramma e la sofferenza emergono senza un briciolo di retorica, né di
pietismo, né di zuccherosa compassione, chi abbia voglia di guardarsele –
dicevo – non potrà fare a meno di restare colpito dalla intensità di quei
volti e da un tratto grafico in cui (in questo come in altri casi) le due
dimensioni del foglio esplodono e – non tanto coinvolgono – ma proprio
risucchiano l’osservatore.

Con Siena Emma Sergeant ha un rapporto di lungo corso: in un’intervista,
dichiara che questa nostra città la intriga, che la coinvolge la sua gente
piena di passione. I pezzi più importanti della mia vita – dice – si
riassumono in Siena. Si “riassumono”. Attenzione al verbo usato, perché
non è casuale: quando in un luogo si “riassume” la vita (almeno quella
rappresenta dagli elementi esistenziali, psicologici ed emotivi più
importanti) vuol dire che quel luogo non è solo un bel posto da visitare o,
perché no?, da viverci più o meno a lungo, ma è ciò che un grande
scrittore libico, Hisham Matar, ha reso (e proprio parlando di Siena) come
un “un punto di approdo”.
E la Sergeant questo punto di approdo lo ha trovato, anche lei, in questa
città, nella sua gente e nell’espressione principale dell’una e dell’altra: la
Contrada. Per la Tartuca, nel 2018, realizza una mostra di sue opere (in
quello scenario unico che è il museo di quella Contrada) “Touch the
Spirit”. Per questa occasione la Sergeant mette in esposizione, fra le altre
opere, un trittico, la cui storia riassume alla perfezione il suo impatto
folgorante con Siena e con il Palio. Ne trovate la storia su YouTube, se vi
interessa, ma ve la riassumo, anche se rozzamente e me ne scuso.
Quest’opera, dice l’artista, sapeva già il suo destino prima che lo sapessi
io. In origine era la raffigurazione di un cavallo che la impegnava in cerca

della sua definizione che faticava, però, a realizzarsi. Questo quadro, dice,
non voleva lasciarmi. Poi un amico, che conosce bene la realtà paliesca
senese, le suggerisce di venire a Siena e di vedere il Palio. E qui il quadro
trova, anch’esso, il suo “punto di approdo”. Diviene un trittico quasi
medievale, composto da due cavalli laterali che, come santi laici,
accompagnano l’icona centrale in cui, al posto di un’immagine sacra, c’è
un personaggio con la montura della Contrada. Medioevo,
contemporaneità, sacralità laicizzata (posso dire neopaganizzata?),
assunzione consapevole dell’importanza dei soggetti rappresentati, ma
senza alcuna scontata retorica da parata.
Ditemi voi se una persona così ha capito o no Siena, il Palio, la sua gente e
l’anima collettiva di questa città.
E veniamo, pertanto, al Drappellone di questa sera.
Un intellettuale non può accontentarsi di conoscere una cultura sola
(sennò non è un intellettuale), ma, le culture con le quali viene in
contatto, può legittimamente scegliere se mescidarle e rifonderle in una
cultura nuova tutta sua, personale, oppure farle convivere, ciascuna
mantenendo la sua cifra, in un contesto ibrido che, da questa dialettica
convivenza in cui nessuno perde niente, ma tutti entrano in empatia con
l’alterità, genera un vortice di sensazioni, di reazioni, di stimoli.
Emma Sergeant fa esattamente questo, e tutte le anime che abbiamo fin
qui visto le fa convivere nel suo drappellone in cui la complessità e
l’ibridazione scomponibile che denuncia le cifre d’origine, sono espresse
in una pittura tutta cromaticamente giocata sui toni del grigio, del nero e
del rossastro, un rosso-mattone “sporcato”, che si ritrova a piene mani
nelle immagini “africane” e “asiatiche” di Emma. Quel rosso che crea, con
le sue sotto-gradazioni cromatiche, il fascino dei copricapi e dei mantelli
con i quali la pittrice “veste” le sue figure più elaborate e sontuose della
serie di pitture “tribal”.
Il nero e il grigio, a loro volta, altro non sono che citazioni della tecnica
che Sergeant padroneggia con maestria.
Le figure-chiave danno vita ad un co-protagonismo: il muso del cavallo in
primissimo piano sfuma, senza che quasi si avvertano i confini fra
un’icona e l’altra, nell’immagine della Madonna in posizione, ancora una

volta, dis-centrata, e le due figure, così, fondono non solo i “segni”, ma
le anime del lavoro della pittrice.
Analizziamole una per una.
Il cavallo.
Come si è detto, è un soggetto usuale delle pitture dell’artista, e la sua
presenza nel drappellone non è una ammiccante strizzata d’occhio al
Palio senese, ma una dichiarazione di adesione al diffuso e condiviso
amore per questo animale che la fa emozionare esattamente come si
emoziona ognuno di noi, senese. Ecco perché il cavallo è il vero
protagonista del drappellone, con il suo muso imponente che entra in
contatto fisico con gli stemmi di alcune contrade, sfiorate con la criniera o
con le vibrisse, quasi a volersi fare largo, insofferente di uno spazio
insufficiente per la sua maestosità, e alla ricerca della collocazione ideale
nell’impaginato.
La Madonna.
Quella di Emma Sergeant è una Madonna fortemente materica il cui
volto (che ha tratti somatici significativamente vicini al volto di Emma
Sergeant, tanto da chiederci se l’artista abbia voluto immedesimarsi, con
un atto di amore, con la figura più importante di ogni Drappellone: quella
figura che è dante causa del Palio stesso e che riassume in sé l’amore per
Siena e la sua festa che i Senesi da lei invocano, e che l’artista, con questa
immedesimazione, attesta per la città e le sue Contrade, se non
“protette”, di certo da lei avvolte in un abbraccio) il cui volto, dicevo,
risente dei richiami che l’artista avverte da altre, già evocate, culture,
forse perfino da altre epoche che sembrano convocarla, perché la faccia
della Madonna ha il sentore di altre voci, altre stanze. La pittrice ha,
infatti, dichiarato che si è posta la domanda di come rendere un volto che
può essere interpretato tradizionalmente come la stereotipata figura da
(alla lettera) santino.
Legittimo, ma banale.
Oppure, quella stessa immagine, può essere resa (come spesso è stato
fatto) nella cifra della quotidianità, totalmente a-sacralizzata, come di una
donna qualsiasi che si incontra per le scale o per strada.

Legittimo anche questo, ma originale le prime volte; ripetitivo in quelle
successive.
Oppure.
Oppure, come si chiede la pittrice stessa, può essere resa con una cifra di
deità sumerica? piena di sacralità non scontata, ma ugualmente intensa?
può crearsi in questo modo una liaison non scontata, né già vista, fra il
divino e l’umano?
Se questa era la domanda cruciale che l’autrice si è posta, credo di poter
dire che la sintesi operata è stata felice. L’immagine della Madonna, è,
infatti, resa con una pittura che “scava” la figura, che la muove e la rende
poco meno che tridimensionale, convocando nella bidimensionalità della
pittura la volumetria della scultura. Una “scultura” dipinta che delinea un
volto che pare uscito dalla bottega di uno scultore del Rinascimento che
abbia gli occhi volti all’appena rinata classicità, con i suoi tratti decisi, ma
dolci e armonici; una “scultura” dipinta che rende un’immagine di
Madonna al tempo stesso piena di sacro, ma priva di aureole, nimbi o altri
facilmente riconoscibili attributi di dimensione metafisica, con il volto e
gli occhi assorti in uno stato d’animo sospeso, quasi onirico o di trance,
addolcito da una forma di serena piega delle labbra, citazione di un
appena accennato sorriso.
Una sorta di storiola a latere, in alto a destra, di tipico gusto medievale,
presenta la sintesi icastica dell’intera narrazione: due cavalli con i loro
fantini si contendono la vittoria sullo sfondo di un Palazzo Comunale e di
una Torre del Mangia appena allusi. Il tutto in un’aura di trasognato
bilanciamento fra immagine realistica e traduzione evocata e sognata del
momento clou del Palio stesso.
Un ruolo fondamentale, in questo drappellone, è, poi, riservato
all’araldica, elemento iconografico che la Sergeant (da brava inglese)
maneggia con tutta l’attenzione che ad esso attribuisce un retaggio
culturale, come quello britannico, che vede nello stemma la prima carta
di identità di un soggetto. E la carta di identità reclama una resa non
approssimativa, ma fedele fino al dettaglio: così gli stemmi (talvolta, in
altri Drappelloni, solo allusi, reinterpretati, citati) hanno un ruolo,
anch’essi, di protagonisti nell’impaginato di questo Drappellone, resi nelle

forme rigorosamente ufficiali e canonizzate nelle quali ciascuna Contrada
inscrive il suo simbolo. Del resto, perfino nel piccolo drappellone del Palio
dei Ragazzi del Valdimontone, dipinto anch’esso dalla Sergeant, che
presentava forme di pre-citazione di questo fratello maggiore che stasera
abbiamo accanto a noi, anche in quello – dicevo – gli stemmi avevano un
ruolo molto evidenziato nell’impaginato, e anche lì erano resi con un
rigore filologico non comune. Perfino gli stemmi dei Terzi cittadini (che
non di rado ricevono un’attenzione a dir poco distratta da parte dei
pittori) hanno, invece, in quest’opera un’evidenza marcata.
Emma Sergeant ci ha dato un’opera niente affatto scontata; ha raggiunto
un risultato che è di apparente semplicità, ma che, come molto spesso
capita per le cose che sembrano “semplici”, cela, nella sua genesi, nei suoi
cromosomi costruttivi, nella sua intelligente riflessione generativa una
complessità che sgomenta. Fra una settimana, una felice Contrada potrà
gioire, ovviamente, prima di tutto per aver trionfato, ma, in misura non
minore, anche per poter accogliere nel suo Museo un grande
Drappellone.

26 giugno 2022
presentazione del Masgalano 2022 – Giampiero Cito
IL DITO DEL GIULLARE
E’ con grande orgoglio che mi alzo per presentare il Masgalano offerto dai Goliardi di
Siena in questo luogo magico che accoglie e protegge i Barberi prima della battaglia e
dove si trova la porta del Teatro dei Rinnovati, che ha visto tanti di noi calcare il
palcoscenico dell’Operetta.
Dante Mortet è un artista che ama definirsi “artigiano”. L’Artigiano è qualcuno che adopra
le proprie mani per restituire al mondo il frutto di un lavoro che possa far assumere agli
oggetti un senso e un valore che si avvicinino a quelli di un’opera d’arte.
Il rapporto tra Dante e i Goliardi inizia nel marzo del 2020, proprio in mezzo a quel gran
bailamme che ha portato a rendere impossibile il perpetuarsi della sacra ritualità del Palio,
che ci ha condannati ad una prigionia forzata, che ha tappato le nostre bocche e
mascherato i nostri volti, mutilandoci del bene più prezioso dopo quello della Vita: la
Libertà che, come scrisse il nostro Roberto Ricci, “è un cavallo che scalpita dentro ogni
cuor, anche quello più timido”.
A questo artigiano, che usa le mani non solo per creare l’opera ma le eleva a protagoniste
dell’opera stessa, i Goliardi hanno chiesto di rappresentare una mano di argento che
stringe un goliardo di bronzo (come le loro facce) e che, con un gesto derisorio e
irriverente, mandasse a quel paese tutto quello che stava accadendo a tutti noi, anche e
soprattutto chi ci diceva di ripetere a memoria lo sciocco mantra: “Andrà tutto bene!”.
Perché non stava andando tutto bene per niente, per la miseria!
Deridere con irriverenza.
Se andiamo a scavare sotto la patina della superficialità e indaghiamo sul loro significato,
queste due parole assumono tutto un altro, alto valore. “De-ridere” significa “ridere per
mezzo di un’azione”, l’azione è stata quella di chiedere al Primo Cittadino di prestare la
sua mano, dalla quale è stato fatto il calco. I Goliardi hanno chiesto, per burla, una mano
al Sindaco perché il significato della parola irriverenza è proprio “non fare le riverenze”,
non inchinarsi di fronte a nessuno.
Il motto del Principe Michele Rubini è infatti: “Frangar, non flectar”.
E’ il ruolo dello Zanni, di Arlecchino, del Giullare di Corte che, per amore di battuta, accetta
il rischio di venire decapitato dal potente di turno.
“Sire, si provi questo abito che solo le menti eccelse riescono a vedere…”
In tutte le corti ci sono i sovrani, ci sono i manutengoli, ci sono i lacché e poi ci sono i
giullari di corte. Il Giullare finge di inchinarsi e poi colpisce. Come Ciranò.
Ecco, i Goliardi sono il Giullare di questa nostra Città, che amano come si ama una
Mamma, capaci di dire da sempre con coraggio che il Re è nudo, chiunque sia il Re.
Perché la Goliardia è coerentemente trasversale: esistono Goliardi di destra, di sinistra e
di centro. E mescolandosi, abbracciandosi, attraverso l’amicizia vera che si crea in quegli
anni beati, può venire fuori che i goliardi di destra abbiano idee di sinistra, che i goliardi di
sinistra abbiano elucubrazioni di destra e che i goliardi di centro diventino dei grandi
bestemmiatori.

Il Goliardo è un giullare, il Goliardo è un satiro, metà uomo e metà bestia, devoto al Dio
Bacco e difensore del superfluo. Sia benedetto chi difende il superfluo, perché se

dovessimo imporci di lasciare in vita soltanto ciò che quelli bravi definiscono “essenziale”
non ci sarebbe la Musica, non ci sarebbe la Poesia, non ci sarebbe il Vino, non ci sarebbe
la trippa la mattina della tratta o i bomboloni per le Prove di Notte, non ci sarebbero
neanche la Prove di Notte, non ci sarebbe la Passeggiata Storica e quindi neanche il
Masgalano. Forse non ci sarebbe neanche il Palio, che per tutti noi è la più irrinunciabile
ed essenziale tra le cose superflue.
Quindi, siccome per noi Goliardi non c’è niente di più serio di uno scherzo, accettate
questo premio come il messaggio degli studenti che, proprio come Arlecchino, si
confessano burlando.
Cari studenti, con questa mano indicate a noi vecchi falliti, che siamo stati capaci soltanto
di rubarvi il futuro, la strada dove dobbiamo andare. Ma ricordatevi che a 22 anni i Beatles
erano già i Beatles e che alla mia età Mozart era bell’e morto da 11 anni. Il tempo di fare
qualcosa di grandioso è ora. Il Futuro è nelle vostre mani, non sprecatelo come abbiamo
fatto noi, altrimenti vi meriterete anche voi di essere mandati a quel paese.
Concludo dicendo che la più bella delle canzoni goliardiche, il Gaudeamus, ci spiega che
abbiamo a disposizione una vita sola e che la gioventù è quell’attimo breve nel quale si
deve godere nel dare un senso a tutto quello che faremo da lì in poi, perché in fondo alla
nostra vita ci aspetta una Signora ineluttabile che non risparmia nessuno. Godete quindi il
Qui e l’Adesso, finché siete giovani e cercate di portare con voi questo insegnamento
anche quando giovani non lo sarete più. Ricordatevi che nessuno si salva.
Nemini parcetur.
Giampiero Cito, detto Tagliatella Balia 1998

Siena, 26 Maggio 2022
Il Principe dei Goliardi Senesi
Signor Sindaco, Onorando Rettore del Magistrato delle Contrade
Onorandi Priori, Autorità tutte
Senesi e Contradaioli
Il 29 Maggio del 1848 un manipolo di studenti senesi, con eroica virtù ed invincibil
coraggio, si sacrificava in nome della libertà sui campi di Curtatone e Montanara. Da
quella battaglia arriva un messaggio di cui noi studenti siamo ancora gli orgogliosi custodi:
ci si può spezzare, ma non ci si deve piegare.
Per questo, per noi Goliardi Senesi, è oggi un grande onore far parte di un momento così
bello della nostra città: il giorno in cui tutto ricomincia.
E’ per noi un grande orgoglio poter offrire quest'opera alla contrada che si sarà distinta per
eleganza e abilità, grazie al lavoro delle tante persone che per tutto l'anno preparano con
cura e amore la propria comparsa.
Poter donare il Masgalano è l'occasione migliore per testimoniare quel legame che dal
1945 unisce indissolubilmente le Feriae Matricularum e le Contrade: tantissimi sono i
senesi che sono affogati nel lago di Gaspero e poi hanno scritto la storia del Palio.
Vorrei quindi ringraziare chi ha reso tutto questo possibile, ognuno contribuendo a modo
suo, e il Comune di Siena per averci concesso quest'onore.
Non c’è bisogno di essere bravi in matematica per capire un concetto semplice: l’infinito,
per quanto lo si possa dividere, resta sempre infinito. E se il nostro amore per la Contrada
è infinito, non significa che debba essere un amore esclusivo o che ci precluda di amare
con la stessa intensità anche qualcos’altro. Infatti amiamo la Contrada e amiamo le
Feriae.
Ci siamo concessi, da veri goduriosi, due infiniti invece di uno solo.
Due amori che vivono entrambi delle stesse emozioni, della stessa tenacia e di quella
spensieratezza che da sempre rende tutti i contradaioli liberi.
Con questa opera di Mortet dunque abbiamo voluto celebrare questo senso di Libertà,
dando il messaggio più goliardico che potevamo mandare dopo una pandemia:
mettiamoci alle spalle quello che è successo in questi anni così difficili per tutti,
mandiamo a quel paese tutto il resto e riprendiamoci le emozioni della nostra Festa.
Perché il Palio è il nostro modo di mandare a quel paese tutte le difficoltà e i giorni tristi,
i dissapori e le paure. Il Palio ci fa dormire poco e sconvolge i nostri piani, ci fa sentire vivi
e ci emoziona, regalandoci momenti indelebili da custodire gelosamente dentro di noi.
Viviamolo dunque come deve essere vissuto; godendoci il momento, consapevoli che
camminiamo sulle spalle dei giganti del passato e abbiamo lo sguardo proiettato sul
futuro.
Ma che, come ci ha insegnato tutta questa storia, abbiamo la fortuna di poter vivere solo il
presente: dunque godiamocelo e cogliamone ogni attimo.
GAUDEAMUS IGITUR, perché sono tornati i brividi e i canti di gioia, i rintocchi e gli attimi
infiniti.
Sono tornati tutti i nostri colori.
È tornata la nostra Festa!

Il Principe dei Goliardi Senesi
Michele Rubini

 

 

 

About the author

Pier Camillo Pinelli

Ex Fantino, ora Editore e Direttore responsabile di questo Giornale online e la penso così: "per farsi dei nemici non è necessario dichiarare Guerra, basta dire quel che si pensa" (Martin Luther King)
per mail: piercamillopinelli@gmail.com

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