9 agosto 2021
Palio di Feltre. Fa specie, non strano, dirlo. Perché anche ora, in questo periodo che si sta vivendo, nel quale a poco a poco ogni casella corrispondente ad un pezzo del vissuto “quotidiano” sta riprendendo il suo posto, c’è chi ahimè pare lasciarsi scoraggiare dalle incombenze, abbattuto e conquistato dal peso delle costrizioni. E chi invece cerca di mandare a scacco una situazione di stallo nocivo muovendo in avanti passione ed un’intelligente caparbietà. E sicuramente -purtroppo- senza non poche ritorsioni su questioni e situazioni già piegate se non stremate da quel che si è vissuto. E Feltre, si, dispone di una pista permanente, si, ha risolto quindi con piu’ facilità cio’ che può riguardare la strutturazione di uno spazio apposito, con –ad ogni modo- la riduzione dei posti destinati a chi il Palio lo ha sempre visto, vissuto sulla propria pelle in quel campo di Pra’ del Moro e che forse-ha sacrificato un po’ del sé e del proprio di modo di intendere e volere il Palio perché i piu’ possano continuare a viverlo –oggi e domani- . E Feltre, da sempre e da subito, per tradizione, si è poi trovata a fare i conti non solo con la difficoltà immensa di ritornare ai propri cittadini il consueto spettacolo al quale si è abituati noi amanti delle corse – ma con l’impegno di trovare oltremodo una soluzione che potesse anche incontrare per esempio le condizioni idonee per le quali una competizione come quella della staffetta potesse svolgersi nel rispetto delle normative anti-Covid, senza che ne venisse attaccata la bellezza scenografica nella quale si vede calata nel compiersi. E allora come fare? Se, si, ci sono dei pro. Ma anche molti contro. Se ,si, si vuole fare, ma si gran parte di ciò di cui si disponeva nelle sedi è andato investito anche- o forse massicciamente- a far fronte ad una situazione di precarietà e sofferenza collettiva?
Ci si mette sotto. Si lavora. E si lavora davvero, e ci si prepara ad andare incontro anche al peggio.
Se mai ci fosse questo peggio.
Al contrario, casomai, ci si potrebbe trovare a vestire i panni di chi per primo ha calcato nuovamente il brivido che sa lasciare solo una mossa valida il giorno del Palio. E si, lo si può provare anche in diretta streaming.
L’Ente Palio di Feltre ha quindi gestito e fatto fronte magistralmente alla difficoltà che solo una Prima Volta può dare. Quella del dubbio di cadere in errore e mi viene da dire – perché sentita piu’ volte nel corso delle giornate- del senso di responsabilità su piano sociale – con la priorità assoluta di tutelare e tutelarsi.
C’è stato bisogno di comprendere i silenzi serrati, fatti di concentrazione assidua- perché un qualcosa per il quale si stava lavorando da tempo portasse l’unico e autentico frutto di questa edizione: il suo svolgimento. E mi permetto di dire, che quest’anno piu’ che mai, in un contesto paliesco mi sono trovata calata in una città che al vento sventolava fazzoletti di tinte che mi parevano tutte uguali perché l’appartenenza che si andava manifestando era quella ancora piu’ profonda, radicata, ossia quella ad una città di Palio.
Poi si, fino ad un certo punto, fino a quello in cui non c’è da far sentire il rullo dei tamburi perché c’è da reclamare un punto, un’intera competizione, un podio, un nerbo alzato, un Palio. Il Palio.
E allora è tutta un’altra storia. Un’altra storia nella storia che Feltre aveva ormai scritto da sé forte della sua squadra di volontari e appassionati e di Persone che sanno comprendere il momento, farsene carico e accettare senza demordere. E graffiando di coraggio la pagina bianca di questo lungo e difficile anno.
Quello che è servito a smuovere anche proposte – probabilmente cavalcando un’onda per la cui potenza si è stati spinti oltre l’immaginabile- (e anche se pare che tutto sia nato poi per gioco – ma per gioco si sa che ne nascono di cose e non da poco) culminate nella concretizzazione di vestire con le giubbe di Feltre due fantini vittoriosi e applauditi da Siena – Tittia e Brigante, andando a cerare così un’edizione che ha avuto il sapore di nuovo e che voleva essere anche un Premio, un Premio per chi di Palio ci vive e trascorre una vita in corsa, alla ricerca di elementi autentici da regalare alla manifestazione e alla protezione di tutto ciò che può regalare di ritorno –ossia l’eterna bellezza-
Quella che allegoricamente si staglia dinnanzi allo sguardo dell’uomo solitario – ma non solo- ai piedi della roccia sulla quale si poggia in contemplazione – nel Drappo di Luca Rento. Un drappo così forte– due rami strappati alla natura fanno da sostegno alla stoffa, rivestiti nel ferro e a sua volta poi inciso – a ricordarci che siamo in perenne accettazione di ciò che gli eventi talvolta ci impongono- che in quanto umani dobbiamo ricordarci di essere ospiti, di essere umili nel saperci piegare – per non morire – ma che come figli della natura stessa, responsabili e protettori di uno spazio, impegnati in una lotta alla pari- fatta talvolta di prevaricazioni, distruzione, abbondanza, aridità (—) due rami disposti a croce, l’uno verticale è metaforicamente un braccio proteso al cielo, quello della salvezza, quello della fatica e del sogno poi esaudito regalato a Dio – che ci ricorda che se siamo ancora con i piedi a terra è perché ancora ci viene chiesto di Resistere.
E Resistere è una parola che fa eco anche in un’altra storia che voglio raccontarvi, e che è stata Riscritta domenica e non merita la chiusura di un pensiero su una tre giorni di Palio ma “qualcosa” di più.
Allora aspettatemi!
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