29 Agosto 2024
Serie A: 63,7% di stranieri, per La Liga solo il 39,7%. Biasin: ‘In Italia mancano le strutture per far crescere i talenti’
La presente ricerca è stata realizzata con Paolo Carnazza, Economista industriale.
Nei campi di Serie A giocano sempre più calciatori stranieri, in un trend che sembra inarrestabile. Il primo balzo ci fu nella stagione 2001-2002 quando gli stranieri toccarono quota 36,3%, ma è 13 anni dopo, nella stagione 2015/2016, che si registrerà il sorpasso, e per la prima volta la maggioranza dei giocatori tesserati (il 50,9%) non sarà di nazionalità italiana.
Oggi in Serie A ci sono il 63,7% di calciatori stranieri, 392 su 611 totali.
La redazione di Affidabile.org ha voluto investigare sul tema, confrontando i dati italiani con quelli di Premier League, La Liga, Bundesliga e Ligue 1. Ha inoltre tracciato l’andamento del fenomeno dalla stagione calcistica 1992/1993 a quella attuale, raccogliendo le informazioni sulla presenza degli stranieri nel calcio europeo degli ultimi 32 anni.
Sentenza Bosman, dal 1995 crescono gli ingaggi esteri
Sono sempre più i giocatori che scelgono di far parte di squadre estere, spesso motivati da ingaggi più elevati e remunerativi rispetto a quelli offerti dai club dei paesi di provenienza. Dalla fine degli anni Novanta a oggi, complice il calciomercato, il fenomeno del trasferimento dei calciatori verso società straniere è aumentato in modo esponenziale. Ma è soprattutto la sentenza Bosman ad aver dato origine al nuovo trend.
I dettagli della Sentenza Bosman
Lo spostamento di giocatori verso club esteri inizia in modo diffuso dopo la sentenza storica del 15 dicembre 1995, quando la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha accolto le istanze del giocatore belga Jean-Marc Bosman. Al calciatore, allora tra le punte di diamante del Liegi, era stato vietato dalla società di trasferirsi verso un’altra squadra.
Dopo la sentenza, a tutti i calciatori dell’Unione Europea fu accordato il permesso di trasferta, a titolo gratuito, al termine del contratto, con possibilità di cambiare club, anche fuori dal proprio paese di provenienza, seguendo i principi della libera circolazione tra nazioni comunitarie.
Cosa ha significato, dunque, questo precedente giuridico per il calcio internazionale?
La principale conseguenza della sentenza è stato l’abbattimento del limite massimo di calciatori stranieri in campo, che fino ad allora erano tre al massimo. Al contempo, la crescita degli ingaggi esteri e le nuove dinamiche di calciomercato hanno portato al nuovo fenomeno: è da allora che la presenza in squadra di giocatori nativi è divenuta l’eccezione, non la regola.
Gli stranieri in Serie A e nei maggiori campionati europei dal 1992 a oggi
Se si analizza la quota percentuale dei giocatori stranieri sul totale dal campionato 1992-1993 fino a quello più recente, in riferimento ai cinque campionati europei più importanti, appare fin da subito evidente quanto il cambiamento sia stato significativo.
I valori iniziali di giocatori stranieri in campo sono piuttosto contenuti nei primi anni Novanta: il picco più basso, ovvero il 12,2% di presenze, si è registrato in Italia durante il campionato 1994-1995. A seguire, la quota ha iniziato progressivamente a salire, fino ai livelli attuali. Nel campionato appena trascorso, ad esempio, la Serie A, con un 59,1% di presenze di giocatori stranieri, si piazza al secondo posto tra le competizioni europee, appena dopo la Premier League (59,7% di stranieri nelle rose). La Ligue 1 si attesta a un valore pari al 55,2%, mentre la Bundesliga supera di poco il 50%. Virtuosa appare invece La Liga con poco meno del 40% di stranieri schierati in campo.
Stagione 2024-2025: il picco storico di giocatori stranieri
Per quanto riguarda la stagione attuale, si registra un record di calciatori stranieri nei massimi campionati europei. Nel dettaglio, i giocatori provenienti da altri paesi sono il 66,1% nell’ambito della Premier League, il 60,4% nella Ligue 1, il 51,8% nella Bundesliga e rispettivamente il 39,7% e il 63,7% nel caso della Liga e della Serie A.
Per approfondire il tema, abbiamo intervistato Fabrizio Biasin, noto giornalista del quotidiano Libero, per conoscere la sua opinione in merito.
Ciao Fabrizio, grazie in anticipo per la disponibilità. Ti chiedo subito: quali sono secondo te i calciatori stranieri che hanno fatto la differenza in Italia?
Maradona, che ha giocato nella nostra Serie A, è stato il più grande calciatore della storia mondiale. Ma si possono ricordare, tra le squadre, anche la Fiorentina di Rui Costa e Batistuta, l’Inter dei tedeschi, il Milan degli olandesi. E ancora, la Juve ha avuto Platini, la Roma Völler, l’Udinese, Zico. Il problema è che queste eccezioni si sono trasformate nel tempo in una sorta di “regola”e i tentativi di fare affari hanno compromesso le scelte di qualità, portando di conseguenza a numerosi “flop”.
E pensando all’attuale Serie A?
Il passaggio di Lammers dall’Atalanta alla Juventus è ad esempio un affare eccellente: si tratta di un giocatore preso dall’Atalanta in Olanda, che oggi vale 60 milioni. Anche il valore del portiere camerunense Onana, preso dall’Inter, è salito a 50 milioni in un anno. Sempre in casa nerazzurra, il capitano Lautaro Martinez 7 anni fa valeva meno di 20 milioni e adesso è diventato uno degli attaccanti più importanti al mondo.
E i flop? Qualche esempio?
Ce ne sono davvero tantissimi. Del resto ogni anno i club prendono dall’estero una grande quantità di giocatori stranieri, senza un vero criterio, solo perché costano meno. La questione, a parità di valore, è legata al “decreto crescita”: non sempre però si fanno scelte giuste.
Secondo te il numero di calciatori stranieri e la scarsa competitività del calcio italiano sono collegati in un rapporto causa-effetto?
Secondo me no, questa idea che ci debba essere una sorta di protezionismo nei confronti dei giocatori italiani la trovo insensata. Il reale problema non è dettato dal fatto che ci sono tanti stranieri, ma dal fatto che non riusciamo a crescere i nostri italiani, ad esempio attraverso strutture adeguate.
Secondo te in quale punto si inceppa il processo e come si può evitare questa dispersione di talento?
Beh, considera che nei campionati europei Under-19 o Under-17, anche a livello mondiale, siamo tra i più competitivi. Il nostro problema è il salto dal settore giovanile alle primavere, alle prime squadre. In questa fase spesso si blocca il processo di crescita dei nostri ragazzi. L’introduzione delle seconde squadre come le Under-23, magari regolamentata, può essere un buon modo per testare i ragazzi, per farli crescere in campionati professionistici dove possono capire cosa significa passare dal settore giovanile al professionismo.
Da questo punto di vista c’è una netta differenza rispetto a quello che può succedere in Spagna. Cosa manca all’Italia?
Ci vorrebbe a volte un filo di coraggio in più. Per esempio in Italia proprio in questi giorni Thiago Motta sta dimostrando di non aver problemi a lanciare giovani ragazzi che magari noi non conosciamo. In realtà io non penso che ci siano allenatori masochisti che non vogliono far giocare talenti: se avessimo anche noi qualche giovane fenomeno come Yamal probabilmente sarebbe già in campo.
Dunque è il talento che manca in Italia?
Di ragazzi bravi e capaci ce ne sono anche qui. Forse abbiamo perso un po’ il bacino: adesso c’è meno possibilità di scelta perché meno giovani scelgono il calcio come sport e sono meno motivati, non hanno tutta quella voglia che avevano i ragazzi negli anni 80 e 90 di stare sul pezzo per provare a coltivare il loro sogno.
Qualche eccezione? Hai qualche nome di qualche probabile promessa del calcio italiano?
Beh, ripeto, anche la scorsa estate noi a livello di Under-19 e Under-17 abbiamo dimostrato di avere giocatori di prima fascia da Camarda in su. Anche Zanoli è da tenere d’occhio, ma andrebbe testato prima ad alti livelli.
Un’ultima domanda: la percentuale di minuti giocati dai calciatori tra i 15 e i 21 anni, rispetto al totale dei minuti giocati dall’intera rosa, in Italia è del 7,4% . Nella Liga arriva al 17,5%. Come commenti questo dato?
Le cose sono due. Un po’ da noi si tende a sfruttare l’usato sicuro: è più facile che un tecnico punti su giocatori più esperti e più avanti con l’età perché ti danno più garanzie. Altrove, come nel caso del Real Madrid, è un po’ più semplice puntare sul giovane talento perché ci sono squadre dove i campioni abbondano e mettere un giovane di fianco ai big fa da buon acceleratore. Aggiungo, inoltre, che a livello di strutture siamo un po’ più indietro rispetto al passato. Anche in Belgio, come in Svizzera, hanno avuto dei momenti di difficoltà, però sono stati bravi a investire sulle scuole di calcio del territorio.
Dalla Serie A alla Primavera: le presenze straniere nei campionati italiani nella stagione 2024-2025
Se ci concentriamo sulle presenze di calciatori stranieri all’interno dei campionati italiani dell’attuale stagione, il dato più alto proviene dalla Serie A, con una percentuale del 63,7%. Segue la Serie B, con il 27,1% di presenze, e ancora la Serie C- A, la Serie C-B e la Serie C-C, rispettivamente con il 13,9, il 15,7 e il 15,1%. Il dato della Primavera 1 è più alto di quello della Serie B, visto che i calciatori stranieri sono il 29%; nel caso della Primavera 2-A la percentuale scende al 15,4% e ancora al 9,7% nell’ambito della Primavera 2-B.
Calciatori 15-21 anni: solo il 7,4% di minuti giocati
Come appena visto, l’elevata presenza di calciatori stranieri si registra anche nelle squadre Primavera: si pensi soltanto al caso del Lecce che, nell’ultimo campionato, aveva in rosa il 76,5% di giovani calciatori provenienti dall’estero, peraltro sempre schierati fin da inizio partita.
Sulla base di uno studio del CIES Football Observatory Monthly, inoltre, relativamente al secondo semestre del 2021, la percentuale di minuti giocati da calciatori di età compresa tra i 15 e i 21 anni, attivi per almeno tre stagioni sul totale dei minuti giocati dall’intera rosa, è molto più bassa in Italia che in Spagna o in Inghilterra, con una percentuale di appena il 7,4%.
Gli spunti di riflessione degli effetti di questa tendenza sono diversi.
Ad esempio, la debacle della Nazionale agli ultimi Europei e la mancata qualificazione agli ultimi due Mondiali potrebbero essere attribuibili, almeno in parte, a questo nuovo trend? Un elemento di supporto a questa teoria è quello relativo alla Nazionale azzurra vincitrice ai Mondiali del 1982 e del 2006, nelle cui fasi finali erano rispettivamente presenti 7 e 5 giocatori della Juve. Uscendo dal caso italiano, va detto che anche i successi della Nazionale spagnola di quest’ultimo decennio potrebbero essere connessi agli investimenti sui talenti locali, più che su quelli provenienti dall’estero.
Il decreto crescita, le agevolazioni per il rientro e il fattore competitività
Strettamente collegato a quanto sopra, c’è un altro fattore, legislativo, che potrebbe aver contribuito a delineare la situazione attuale. Il contenuto del cosiddetto Decreto Crescita prevedeva infatti elevate agevolazioni fiscali a favore della partecipazione di giocatori europei nella massima serie italiana, tra cui un esenzione dall’IRPEF applicabile fino al 70%.
La normativa aveva tra i propri obiettivi primari lo stimolo della competitività tra calciatori e squadre, con particolare riferimento alla prestazione dei singoli e al miglioramento dell’impegno e delle performance.
Il blocco di queste agevolazioni, dal 2024, ha però suscitato un certo malcontento nelle squadre della Serie A, preoccupate per una minore resa dei giocatori in chiave “competitiva.”
I giocatori stranieri fanno davvero la differenza?
In realtà l’associazione tra presenze di giocatori esteri e performance in campo non è così automatica, nei fatti concreti. Nessuna delle tre competizioni europee è stata vinta, nonostante l’accesso in finale, mentre di due finali europee nel 2024, l’Europa League è stata vinta dall’Atalanta mentre la Conference League è stata persa dalla Fiorentina.
Allora perché si continua a investire in rose di calciatori perlopiù composte da giocatori da fuori Italia? Ciò può essere dovuto al desiderio di vincere nel breve periodo, grazie alla presenza di campioni stranieri già pienamente affermati.
Germania e Spagna, rispetto all’Italia, preferiscono invece puntare e investire sulla formazione dei giovani nei vivai: a quanto pare, confrontando i dati, i loro progetti sul medio-lungo periodo si stanno rivelando più performanti ed efficaci.
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