1-CONSIGLIO COMUNALE SIENA 2024

SIENA, CONSIGLIO COMUNALE DI OGGI 26 GENNAIO 2024 completato

26 gennaio 2024 ORE 14,07
Nel consiglio comunale di oggi, venerdì 26 gennaio, all’interrogazione di Alessandro Masi (Pd) ha risposto il vice sindaco Michele Capitani
Lavori al Palasport, vice sindaco Capitani:
L’obiettivo è permettere l’organizzazione di eventi più complessi”
PDF–>> interrogazione palasport
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26 gennaio 2024 ORE 14,06

L’assessore Tucci ha risposto all’interrogazione dei consiglieri del gruppo Partito Democratico, che è stata discussa nella seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 19 gennaio
Aru ‘Esterna Fontebranda’, Tucci:
Scelta da ponderare con attenzione, non è prevista nell’anno in corso”
PDF–>>interrogazione fontebranda
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26 gennaio 2024     ORE 14,06

Il Sindaco ha risposto all’interrogazione presentata dal gruppo Partito Democratico durante la seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio
Fabio: “Altra interrogazione su Biotecnopolo,
servirebbe stessa costanza con i parlamentari di riferimento”
PDF–>> interrogazione biotecnopolo
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26
gennaio 2024   ORE 13,37
Durante il consiglio comunale di oggi, venerdì 26 gennaio,
all’interrogazione della consigliera Anna Ferretti (Progetto Siena)
ha risposto l’assessore a mobilità e trasporti
Riorganizzazione del trasporto pubblico, Tucci:
Realizzato un maggior numero di collegamenti”
PDF–>> interrogazione riorganizzazione trasporti
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26 gennaio 2024 ORE 13,23
L’assessore ha risposto all’interrogazione dei consiglieri del gruppo Pd che è stata discussa nella seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio
Papi: “Cag, attività in linea con quanto programmato”
PDF–>> interrogazione centri di aggregazione giovanile
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2
6 gennaio 2024
Durante la seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio, l’assessore ha risposto all’interrogazione della consigliera
Anna Ferretti del gruppo Progetto Siena
Piano operativo di valorizzazione turistica, Giunti:
Entro breve via al gruppo di lavoro”
PDF–>> interrogazione strategia marketing
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26
 gennaio 2024
L’assessore ha risposto all’interrogazione della consigliera del gruppo Partito Democratico, Gabriella Piccinni, durante la seduta
del
Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio
Parco di Villa Rubini Manenti, Bianchini:
In corso intervento di valorizzazione e tutela”
PDF–>> interrogazione villa rubini
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26
 gennaio 2024
L’assessore Giunti ha risposto all’interrogazione della consigliera del gruppo Partito Democratico,
Gabriella Piccinni, durante la seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio
Cinema Nuovo Pendola, Giunti:
A breve interventi risolutivi su uscita di sicurezza”
PDF–>> interrogazione nuovo pendola
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26
 gennaio 2024
L’assessore Bianchini ha risposto all’interrogazione dei consiglieri Bondi e Falorni (Forza Italia-Udc-Nuovo Psi) che è stata discussa nella seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio
Via Mentana, oltre 400mila euro di investimento”
PDF–>> interrogazione via mentana
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26
 gennaio 2024
Il vicesindaco ha risposto all’interrogazione della consigliera Giulia Mazzarelli (Partito Democratico) che è stata discussa nella seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio
Completamento della Grosseto – Fano, Capitani:
Potremo esprimerci solo in fase di approvazione del progetto definitivo”
PDF–>> interrogazione grosseto fano
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26
 gennaio 2024
Il vicesindaco Capitani ha risposto all’interrogazione del consigliere del gruppo Movimento Civico Senese, Franco Bossini, durante la seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio
Piazzola ecologica in via delle Luglie, Capitani: A partire dal 2025 nella via sarà istituito il servizio porta a porta”
PDF–>> interrogazione via delle luglie
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26
 gennaio 2024
L’assessore ha risposto all’interrogazione dei consiglieri Bossini (Mcs), Maggiorelli (Fdi) e Parri (Sena Civitas) nella seduta del Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio
Giordano: “Scuole specializzazione, al momento dati rassicuranti Occorre fare grande attenzione sulle scelte organizzative”
PDF–>> interrogazione scuole specializzazione
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26 gennaio 2024

L’intervento del Sindaco di Siena durante il Consiglio Comunale dedicato al “Giorno della Memoria”
Fabio: “Il ricordo che deve resistere al tempo  fondamentale il ruolo di famiglia, scuola e istituzioni”

“Una giornata dedicata alla storia universale e personale di molte vite, al ricordo dello sterminio del popolo ebraico, delle leggi razziali, della persecuzione dei cittadini ebrei, degli italiani che hanno subito la deportazione, della prigionia e della morte e che come istituzione abbiamo il dovere di raccontare”. Queste le parole utilizzate dal Sindaco di Siena Nicoletta Fabio nell’intervento fatto durante il Consiglio Comunale di oggi, venerdì 26 gennaio, dedicato al “Giorno della Memoria”, che sarò celebrato domani, sabato 27 gennaio.

“Il Giorno della Memoria ricorda il giorno in cui, nel 1945, le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz – ha proseguito il Sindaco Fabio – La comunità ebraica senese era una delle più antiche e integrate dell’intero territorio nazionale. Ne viene fatta menzione all’interno di un documento della Biccherna a partire dal 1229. La comunità israelitica senese ebbe il secondo pogrom della sua storia, il primo avvenne nel 1800 durante l’occupazione francese, con il rastrellamento della notte tra il 5 e il 6 novembre 1943, quando 15 ebrei vennero arrestati e deportati nei campi di concentramento. Molti riuscirono a nascondersi per tempo, tra questi alcuni sono riusciti a ricostruire la storia di quei giorni nefasti che cambiarono per sempre il volto della storia. Vite interrotte, spezzate, collegate spesso a testimonianze dirette”.

“Credo sia compito delle istituzioni, ma non solo, ricordare che la libertà e l’uguaglianza degli esseri umani, insieme alla dignità di ciascuno ed alla promozione della pace, devono rappresentare valori di riferimento irrinunciabili per la nostra società – ha concluso il Sindaco Fabio – La memoria della Shoah, non è un fatto che riguarda solo gli ebrei, che pure ne hanno pagato il prezzo più alto, ma è un fatto universale che riguarda tutta l’umanità. Col passare degli anni e con l’esaurirsi di testimonianze dirette, la Giornata della Memoria assume un ruolo ancor più importante. Fondamentale il ruolo degli educatori e delle scuole, così come della famiglia, affinché il non dimenticare ci consenta di lavorare sempre di più in un’ottica inclusiva e di accoglienza. Il ricordo deve resistere al tempo per garantire a tutti un futuro migliore e per farci vivere liberi”.
Il Sindaco Nicoletta Fabio ha letto, a conclusione del suo intervento, la poesia “Non gridate più” di Giuseppe Ungaretti.

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26 Gennaio 2024
GIORNO DELLA MEMORIA 2024

In ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Consiglio Comunale di Siena, 26 gennaio 2024 ore 9,00
Sala del Capitano del Popolo

Intervento di Massimo Bianchi (Università di Siena)

“Per una riflessione sulla Shoah. Uno sguardo sull’Italia e al caso senese”.
Buongiorno a tutti, ringrazio in primo luogo il Presidente del Consiglio Comunale di Siena
Dott. Davide Ciacci e l’Amministrazione comunale, a partire dalla Signora Sindaco
Nicoletta Fabio, per l’invito a tenere questa mattina una relazione nell’ambito del Giorno
della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei
deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
Ringrazio anche per darmi la possibilità di ritornare in un’Aula che ho frequentato per oltre
quindici anni da diversi punti di osservazione, compreso questo dei banchi della Giunta
Comunale e pertanto è per me come un ritorno al passato.
Parleremo oggi di memoria e la memoria è l’esercizio che abbiamo fatto anche poco fa
quando abbiamo ricordato il Consigliere Lucio Pace che è passato da questa Sala del
Capitano del Popolo ormai da più di un decennio per ben due mandati, appartenendo anche
per molto tempo allo stesso Gruppo consiliare: un Consigliere molto attivo nella vita
politica cittadina, proveniente da una realtà in provincia di Palermo ma perfettamente
integrato con le problematiche e le dinamiche locali e che sapeva portare avanti le sue idee
con convinzione e passione. Fino agli ultimi anni, e fino a quando la salute glielo ha
permesso, è stato promotore e animatore di movimenti civici. Bene ha fatto il presidente
Ciacci a chiedere un minuto di raccoglimento e di silenzio per onorarne la memoria, come
del resto si dovrebbe sempre fare per tutti coloro che sono passati da questo consesso e
hanno dedicato tempo e risorse a questa comunità.
Secondo alcuni studiosi, le parole “memoria” o “ricordo” sono due termini che ricorrono
più frequentemente all’interno dei testi biblici (alcune centinaia di volte), poiché la
memoria coincide con la storia; storia alla quale si attribuisce un significato universale e
globale, come passaggio dal passato verso il presente e dall’oggi al futuro, attraverso un
meccanismo di trasmissione che ha come funzione fondamentale quella di assicurare la
sopravvivenza dell’identità di ogni popolo, gruppo, o etnia.
La memoria, per chi fa il mestiere di studiare e interpretare il passato, è un imperativo
morale prima ancora che storico: si dice infatti, a proposito dell’Olocausto, di “ricordare,
perché ciò non accada mai più”.
Affermazione quanto mai vera, specialmente quando si parla di antisemitismo che è alla
base dell’Olocausto o della Shoah e ogni tempo, a ben vedere, ha avuto il suo
antisemitismo: prima segnato dall’antigiudaismo cristiano, poi cospiratorio e complottista
nei momenti di crisi e infine scellerato nella sua forma pseudo-scientifica durante il
nazifascismo. Ma anche le ultime grandi crisi, come la pandemia da Covid 19 e l’invasione
russa dell’Ucraina, pur non avendo legami diretti con gli Ebrei sono state l’occasione
ancora una volta per diffondere discorsi antisemiti. Ricorderemo infatti, in tempo di
pandemia, come il complottismo antisemita sostenesse tutto e il contrario di tutto – si
andava dal fatto che il virus fosse una cospirazione ebraica, al fatto che fosse diffuso dagli
untori ebrei, al fatto che dovesse essere diretto verso gli ebrei – in modo anomalo e del

È

tutto incoerente. È questa una caratteristica dell’antisemitismo, con gli ebrei incolpati di
tutto e del contrario di tutto: da nazisti e fascisti erano accusati di essere allo stesso tempo
bolscevichi e liberali, conservatori e materialisti. E diventa davvero pericoloso un nemico
che assomma in sé simultaneamente tutti i diversi nemici. Non si deve peraltro dimenticare
che, per chi lo promuove, l’antisemitismo è assai utile, perché il sistema di odio che lo
produce serve a far percepire sicurezza, identità, ed è segno di una simbolica unità contro il
nemico esterno. Per i nazifascisti un mondo senza ebrei era necessario per un progetto
politico basato sul dominio, sulla violenza e l’esclusione.
Come ogni anno, alla vigilia della Giornata della Memoria si riaccende il dibattito
sull’utilità del 27 gennaio e come sempre occorre ribadire l’importanza storica di evitare la
distorsione della Shoah che è una delle manifestazioni dell’antisemitismo contemporaneo.
Gli ultimi anni, fra le diverse e varie stagioni della memoria, sono infatti il tempo della
minimalizzazione e banalizzazione della Shoah, un atteggiamento ancora più pericoloso –
perché subdolo – della negazione. Viceversa, occorre ribadire la centralità e l’importanza di
studiare, approfondire e scoprire nuovi frammenti della deportazione e del genocidio
nazifascista: un comportamento fondamentale che fa parte della nostra cultura civica e che
motiva le ragioni del nostro proiettarci verso il futuro. La Giornata del 27 gennaio è lì a
ricordarci che, dopo la distruzione degli ebrei d’Europa, la storia è andata in una nuova,
diversa e opposta direzione: si è costruito infatti un pensiero forte sulla discriminazione,
sul razzismo e sull’esclusione che ha ispirato la Dichiarazione dei Diritti Umani, il
processo di costruzione dell’unità europea e anche la nostra Costituzione. Non ricordare la
Shoah, infatti, concorrerebbe a uno svuotamento del “mai più” che le società democratiche
hanno dichiarato dopo Auschwitz.
Quella di oggi è quindi una ricorrenza, ma anche e soprattutto l’occasione per alcune
considerazioni, che vorrei in questa sede sinteticamente avanzare. Attualmente uno dei
temi dominanti la nostra società è quello delle migrazioni e della conseguente integrazione.
Ebbene, a ben guardare, proprio la presenza ebraica in Italia e in Europa costituisce un
modello ottimale di integrazione: in particolare in Italia essi giunsero in gran parte
provenienti dalla Spagna da cui erano stati espulsi nel 1492 e si stabilirono un po’
dovunque, soprattutto nella “tollerante” Toscana; in particolare essi si inserirono nel
mondo del lavoro, ricercando – pur tra ricorrenti episodi di intolleranza e di persecuzione –
parità come leali cittadini. Quindi, alla data fatidica del 1938, essi erano da secoli inseriti
nella società e nella storia del nostro Paese, contribuendo positivamente, come tanti altri, a
creare e a far progredire l’Italia. E ciò in ossequio anche all’etica tipicamente ebraica che
dà un peso fondamentale alla attività pratica e all’impegno sociale; sono da ricordare
esempi di professioni intellettuali, ma non va dimenticato che questa etica abbraccia ogni
forma di attività, anche la più umile (si pensi a tale proposito ai due noti esempi, quello del
talmudista Hillel, vissuto nel primo secolo, che esercitava il mestiere di ciabattino, o quello
del filosofo Spinoza che si guadagnava da vivere come molitore di lenti). In pratica, per
l’etica ebraica, il lavoro era visto e vissuto come strumento di integrazione, come
connessione di diritti e di doveri e come attività svolta nell’ambito di regole.
In particolare, dopo la cosiddetta “emancipazione” del 1848, quando il Regno di Sardegna
emancipò gli ebrei piemontesi all’interno di un più ampio processo che si sviluppò in tante
altre nazioni con l’estensione di alcuni diritti civili alla popolazione ebraica, come ad
esempio il diritto alla cittadinanza, si diffuse così tra gli ebrei italiani un sentimento di
gratitudine e di forte impegno per un ulteriore inserimento nella società; essi cercarono
cioè una legittimazione come cittadini a pieno titolo, tradottasi anche in una attiva e diretta
partecipazione sia al Risorgimento che alla Grande Guerra del 1915/1918; si ricordino a

titolo di esempio i casi del Sindaco di Roma Ernesto Nathan e dei presidenti del Consiglio
Luigi Luzzatti e Sidney Sonnino.
Purtroppo, le leggi antiebraiche del 1938 (appena venti anni dopo la fine del primo
conflitto mondiale) distrussero quel comune cammino, pacifico e proficuo al tempo stesso,
con l’iniqua discriminazione rivolta contro cittadini che, come abbiamo visto, da secoli – in
termini sia di diritti che di doveri – erano inseriti nella società e nella storia del nostro
Paese. Quel modello di integrazione non venne allora accolto, anzi fu negato e distrutto;
ma, pensando all’oggi (e al domani), si può auspicare che l’Europa voglia riproporlo nei
confronti dei nuovi arrivati, sia pure con le modifiche necessarie per adeguarlo ai nuovi
tempi.
La memoria acquista poi un significato più profondo specialmente quando si è chiamati a
realizzare un compito proprio degli storici, ovvero quello di restituire al territorio in cui
viviamo le conoscenze e i risultati delle nostre ricerche che, partendo dallo studio delle
grandi questioni storiche fondamentali, finiscono poi per declinare nella prospettiva di
osservazione della comunità locale. Tenterò quindi nel mio intervento di evidenziare anche
alcuni passaggi di come si tradussero a Siena le persecuzioni contro cittadini italiani, rei
del solo fatto di professare la fede ebraica.
Alla data del 22 agosto 1938, i 235 ebrei censiti a Siena e provincia risultavano
perfettamente integrati nella vita sociale: le famiglie ebree appartenevano in particolare
alla media e piccola borghesia, alcune si erano guadagnate un certo prestigio per l’impegno
in talune professioni. Indipendentemente dalla loro fede politica, gli ebrei senesi, che
avevano partecipato attivamente sia al processo di unificazione che alla prima guerra
mondiale, si consideravano italiani a tutti gli effetti e nessuno avrebbe mai immaginato
cosa il regime stava preparando per loro. La politica di discriminazione degli ebrei iniziò
con la pubblicazione del Manifesto in difesa della razza e proseguì colpendo inizialmente
gli ebrei stranieri, molti dei quali erano studenti, i quali non poterono più iscriversi alle
scuole italiane. Fu poi la volta degli ebrei italiani, espulsi dalle scuole, dall’insegnamento,
dall’esercito, dalle amministrazioni e dalle cariche pubbliche. Anche a Siena i primi a
subire le conseguenze di questa politica discriminatoria furono una ventina di studenti
ebrei stranieri espulsi dall’Università e rimasti senza possibilità di lavoro. Seguirono poi le
espulsioni di ebrei senesi che furono costretti a lasciare le scuole, l’insegnamento, le
attività lavorative presso l’amministrazione comunale e il Monte dei Paschi.
Proprio la totale integrazione degli ebrei senesi nella realtà locale rese ancora più assurda
ai loro occhi la promulgazione delle leggi razziali e i vari provvedimenti amministrativi
che seguiranno per escluderli dalla vita civile. Le leggi razziali provocarono nella
comunità ebraica reazioni di vario tipo tra chi si chiuse in sé stesso cercando di adattarsi
alle nuove difficoltà, chi invece trovò in questa nuova situazione ragioni per un
antifascismo che andava maturando, chi si piegò con la speranza di salvare la propria
famiglia. In questo quadro sono da leggere alcune conversioni al cattolicesimo alla ricerca
di ogni possibile sostegno nella rete di amicizie e conoscenze con i non ebrei.
Al riguardo c’è da dire che a Siena come nel resto d’Italia numerosi furono i casi di
solidarietà verso gli ebrei; in fondo bastava continuare a frequentarli per rendere esplicito
il dissenso verso le leggi razziali. Ci fu anche chi, tra i non ebrei, si spinse oltre,
assumendo gli ebrei licenziati dalle amministrazioni pubbliche, continuando a servirsi di
loro come professionisti o come commercianti, rendendosi disponibili a occultare parte dei
loro beni. Da parte delle autorità senesi l’applicazione delle leggi razziali fu in linea con
quanto avvenne nel resto del paese anche se le modeste dimensioni della città fecero

registrare casi in cui esponenti del potere avvertirono del pericolo imminente, magari
perché loro amici, alcuni ebrei senesi.
Le leggi razziali e la loro applicazione
Il regime a partire dai primi giorni di settembre del 1938 promulgherà tutta una serie di
decreti-legge riguardanti gli ebrei italiani e stranieri che poi verranno tramutati in leggi.
Nel mese di novembre si avranno due decreti di importanza particolare: il decreto n. 1728
del 17 novembre che rappresenterà il fondamento legislativo di tutti i provvedimenti
successivi per la difesa della razza e il n. 1779 del 15 novembre che integrava la prima
disposizione sulla scuola in cui si vietava a insegnanti e alunni ebrei di accedere
all’insegnamento e di frequentare le scuole di ogni ordine e grado, a esclusione di quelle
elementari, purché separati dagli alunni ariani.
A partire dal dicembre 1938 i Podestà di tutta Italia fanno affiggere un manifesto in cui si
ricordava di autodenunciare la propria appartenenza alla razza ebraica presso l’Ufficio di
Stato Civile entro novanta giorni pena arresto e ammenda. Nello stesso manifesto, affisso a
Siena in data 27 gennaio 1939, si specificavano anche le caratteristiche di coloro che
dovevano considerarsi di razza ebraica, primo passo per poi individuare tutti quelli che
avrebbero dovuto sottostare a quei provvedimenti che avevano lo scopo ultimo di rendere
gli ebrei persone invisibili nella società italiana.
Espulsioni dal lavoro
Dal dicembre 1938 al dicembre 1942 vennero emanate una serie impressionante di
circolari amministrative che imporranno agli ebrei italiani una serie di divieti che
emarginavano gli ebrei dalla vita sociale e impedivano loro di lavorare e di mantenere le
proprie famiglie. Un elenco dei divieti, ad esempio, prevedeva di essere amministratori o
portieri di case abitate da ariani, di esercitare il commercio ambulante, di commerciare in
libri, di vendere articoli per bambini, di raccogliere rottami metallici, lana per materassi,
oggetti antichi, d’arte e sacri, di gestire scuole da ballo, negozi di noleggio film, agenzie di
viaggio e turismo. Altri divieti erano quelli dell’inserimento del proprio nome negli elenchi
telefonici, del lavoro negli alberghi, della vendita e detenzione di apparecchi radio. I nomi
ebraici di vie vennero rimossi così come le lapidi con gli ebrei illustri. Anche a Siena
queste norme furono puntualmente applicate. In città un numero consistente di famiglie era
dedito al commercio, stoffe in particolare, ma vi erano dipendenti di enti pubblici,
professionisti, un medico chirurgo, un farmacista, un sarto, un impiegato del Monte dei
Paschi, alcuni commercianti ambulanti. I primi a essere esentati dal servizio furono un
dipendente comunale (Italo Sadun) e un professore universitario Guido Tedeschi. Per essi,
come per altri seguirà la drammatica realtà della disoccupazione e della ricerca di un posto
di fortuna presso amici disposti ad assumerli magari sotto falso nome. Per i commercianti
ci fu il ritiro delle licenze con gravi conseguenze economiche per molte famiglie, anche se
in qualche caso ci fu il ricorso – abbastanza frequente, a dire il vero – a prestanome ariani.
Ed è bene sottolineare che accanto a eventi di dimensioni catastrofiche quale l’Olocausto,
coesisteva, come frutto delle ufficiali normative discriminatorie antiebraiche, una realtà
quotidiana più semplice e quasi di routine, che contribuiva anch’essa a creare l’atmosfera
di quel tempo difficile. Si trattava di episodi più semplici, che potrebbero essere tutti
ricondotti nella categoria che la filosofa Hanna Arendt definiva di “banalità del male”, nel
senso di malvagità che colpisce cittadini inermi nella loro normale quotidianità. Aspetti
individuali, familiari, scolastici della vita quotidiana degli ebrei italiani, che abbiamo
ricordato, come le varie proibizioni di svolgere professioni, di appartenere ad associazioni,
di studiare e insegnare, di ricorrere alle cure mediche, ma anche aspetti apparentemente
secondari come possedere un apparecchio radio: tutto avveniva entro una apparenza di

quasi “normalità” quotidiana, di ordinaria amministrazione frutto di burocratica
applicazione di quelle leggi, che pedantemente definivano i destinatari, classificandoli in
base a una complessa casistica a seconda della appartenenza religiosa di genitori,
ascendenti, affini, ecc… In sintesi, tutto ciò contribuiva a creare una dimensione umana
emarginata e vittima di discriminazioni talvolta assurde e incomprensibili, per far sentire i
destinatari di quelle norme come minoranza da emarginare dalla società, non più cittadini
come gli altri.
Scuole
A Siena si registrarono anche gli effetti a seguito del decreto di espulsione degli ebrei dalle
scuole di ogni ordine e grado: decreto che mise ragazzi e insegnanti di fronte a una realtà
difficile da accettare e che erano completamente impreparati ad affrontare.
Per i bambini delle elementari, in assenza di strutture direttamente gestite dalle Comunità,
come era il caso di Siena che era una sezione della Comunità israelitica di Firenze, l’unica
soluzione possibile era quella di frequentare una ‘sezione speciale per alunni di razza
ebraica’ presso la scuola pubblica e molti si ritrovarono quindi relegati negli edifici
scolastici della Fortezza Medicea, dove tra l’altro colpiva particolarmente i bambini ebrei
il fatto di avere un bagno separato dagli altri coetanei, che si domandavano il perché,
ignorando che tra le varie prescrizioni vi era anche il divieto di mescolare “pipì ebraica”
con “pipì di pura razza ariana”. Per gli studenti più grandi non rimaneva altro invece che
continuare gli studi privatamente.
Nel caso delle Università, significativa l’espulsione nel 1938 dei docenti di fede ebraica,
molto numerosi (circa 900) in proporzione alle dimensioni demografiche, distribuiti fra
tutti gli Atenei italiani. Non deve sorprendere che, accanto ad alcune espressioni di sincera
indignazione, non mancarono coloro che – sia pure senza esprimerlo pubblicamente – in
cuor loro non deprecarono troppo quella inattesa “liberazione” di cattedre che si rendevano
disponibili per soddisfare ambizioni di carriera. Ovviamente i provvedimenti investirono
anche quegli scienziati che avevano contribuito, negli anni a cavallo fra la fine del
diciannovesimo secolo e il primo quarto del ventesimo, a fare dell’Italia un centro di
eccellenza a livello mondiale nel campo delle Scienze Matematiche e Fisiche come Vito
Volterra, protagonista dell’ascesa della matematica italiana, che fu tra i docenti che non
giurarono fedeltà al regime fascista e che quindi dovette lasciare l’insegnamento
emigrando prima a Parigi e poi in Spagna; Guido Castelnuovo, uno dei fondatori della
moderna teoria del calcolo delle probabilità, che evitò l’onta della espulsione perché già in
quiescenza nel 1938. Analogamente discriminati furono i giovani e brillanti fisici Enrico
Fermi e Emilio Segre, costretti a emigrare negli Stati Uniti e che, come co-fondatori della
moderna fisica nucleare, vinsero ambedue in anni successivi il Premio Nobel per la Fisica.
Qualcosa di analogo avvenne anche in Germania, altro centro di eccellenza mondiale nella
matematica e fisica, dove fin dall’inizio fu scelta purtroppo non solo l’espulsione ma anche
l’eliminazione fisica degli scienziati di fede ebraica. Nell’ateneo senese il caso eclatante fu
quello del professor Guido Tedeschi, docente di diritto civile alla Facoltà di
Giurisprudenza, prima sospeso e poi allontanato dal servizio in quanto di razza ebraica che
fu costretto a rifugiarsi all’università ebraica di Gerusalemme dove rimase fino alla sua
morte nel 1992, nonostante la sua riammissione in servizio nel 1944.
Deportazioni
E poi il capitolo delle deportazioni che non mancarono neppure a Siena. L’accentuazione
delle violenze avvenne dopo l’armistizio, con la presenza massiccia di truppe tedesche in
Italia e già dal 21 ottobre 1943 si era diffusa in città la notizia di una imminente

persecuzione nazi-fascista e molti ebrei erano fuggiti. Del resto, le persecuzioni erano già
in corso a Roma e in altre città e la piccola comunità ebraica era in allarme.
Ne abbiamo testimonianza diretta da un testo di Alba Valech, libro di memorie dell’unica
deportata senese sopravvissuta ai lager che racconta il dramma personale e familiare della
deportazione. I genitori di Alba, la sorella Morosina e il fratello Ferruccio trovarono infatti
la morte nel lager di Auschwitz-Birkenau e con loro altri 11 senesi che nella notte tra il 5 e
il 6 novembre 1943 furono prelevati dalle proprie abitazioni.
Il 6 novembre vennero rinchiusi alla caserma Lamarmora, il 7 novembre furono condotti
su mezzi militari a Firenze, poi trasferiti a Bologna e a Fossoli, e la sera del 14 novembre
arrivarono ad Auschwitz dove alcuni di loro, dopo la selezione, vennero condotti a
Birkenau e uccisi.
Analogo rastrellamento subì la famiglia Sadun che abitava in viale Cavour ma per fortuna
l’intero nucleo familiare si era già trasferito da qualche giorno in campagna presso il
parroco di Vignano don Luigi Rosadini e dopo, a causa di una soffiata, in via San Pietro
dalla famiglia Cardini-Adami che li tennero nascosti fino alla liberazione di Siena. Il
soggiorno, come è facile immaginare, comportò una vera e propria segregazione per non
essere scoperti, ma perlomeno potevano dirsi salvi a confronto di quanti finirono nei campi
di sterminio. Nel caso del rastrellamento senese del 6 novembre è da segnalare che esso
avvenne per opera congiunta di reparti fascisti della RSI e delle truppe tedesche. Si apre
così anche una riflessione sulle responsabilità storiche della deportazione che si è soliti
additare come responsabilità esclusiva dei nazisti; in molti casi, i regimi fascisti in realtà
furono corresponsabili della deportazione.
Molti ebrei senesi, per fortuna la maggioranza, riuscirono a evitare la cattura e trovarono
rifugio presso conoscenti, religiosi o cittadini che, pur rischiando di persona, accettarono di
aiutare i perseguitati. Ci furono casi particolari in cui il consiglio di fuggire arrivò
direttamente dalle autorità fasciste della città: il che offre un altro spunto di riflessione sul
senso di appartenenza della comunità al tessuto sociale cittadino e sul contesto di piccolo
centro, dove tutti si conoscono, entro cui maturò il dramma della deportazione.
Tutto questo induce a riflettere che le discriminazioni originate dalla legislazione del 1938
– da cui tutto ebbe inizio – non solo erano deprecabili e degne di indignazione, come
giustamente affermato ed espresso in molte e diverse sedi e occasioni, ma ebbero anche
l’effetto pratico e negativo di depauperare l’Italia di valide energie, ereditate da Paesi che
ne beneficiarono praticando invece apertura e tolleranza. Possiamo forse trovare una
analogia storica nel provvedimento di espulsione del 1492 dalla Spagna che – in nome di
una identità nazionalistica basata sulla “purezza del sangue” – distrusse con violenza quella
culla di altissima civiltà creata molti anni prima dalla pacifica convivenza culturale tra
ebrei, cristiani e islamici. In altre parole, in assenza della identificazione di una “razza
italiana” (e tanto meno “ariana”) abbiamo qui uno dei tipici esempi di quel razzismo su
base essenzialmente culturale (cioè, di persecuzione contro chi la pensa diversamente)
efficacemente definito da un sociologo Etienne Balibar come una sorta di “razzismo senza
razza”.
Ma vorrei avviarmi a concludere questo intervento con una nota di positività. Infatti, anche
in quei momenti oscuri e di prevalenza della malvagità si verificarono atti di generosità, di
aiuto e salvataggio da parte di molti, anche a rischio della loro vita. Erano non ebrei,
spesso persone qualsiasi, che ritenevano quasi ovvio compiere atti di solidarietà; non eroi
epici, ma eroi “normali” animati da spirito di solidarietà.

Era quindi giusto e doveroso che i salvati esprimessero, anche in forma ufficiale, la loro
gratitudine. Per questo, come molti sanno, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme ha
istituito, fin dal 1962, un riconoscimento a favore di coloro (non ebrei) che hanno agito in
modo eroico, anche a personale rischio e senza interesse personale, per salvare molte vite
umane dal genocidio nazifascista in Europa, anche di un solo ebreo (secondo il motto del
Talmud che “chi salva una vita, salva il mondo intero”).
L’ onorificenza consiste nella attribuzione del titolo di “Giusto tra le Nazioni” e il conio di
una medaglia personalizzata con inciso il nome del salvatore; lo stesso nome è poi scolpito
in un monumento eretto accanto al Museo della Shoah. Inoltre – secondo una antica
tradizione biblica su come conservare il perenne ricordo di una persona cara – viene
piantato un albero nel “Giardino dei Giusti” sulle colline di Gerusalemme. La scelta della
Commissione incaricata di individuare i Giusti – presieduta da un giudice della Corte
Suprema di Israele e composta da storici, personalità pubbliche, professionisti (tutti a titolo
volontario) – esamina le proposte (per lo più avanzate dagli stessi salvati/sopravvissuti) con
criteri meticolosi e arriva dopo una lunga procedura, ricercando ogni possibile
documentazione e testimonianza.
E’ interessante ribadire che la grande maggioranza di coloro che hanno ricevuto il
riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni” sono persone semplici, uomini e donne
“comuni”; certamente eroi (perché eroico è il gesto di salvare altri, anche a rischio della
propria vita), ma non eroi che hanno compiuto gesta epiche in battaglia, bensì nella vita di
tutti i giorni, quasi come episodi normali, semplici e spontanei gesti di solidarietà e di
amicizia come risposta a elementari principi morali di solidarietà e di fratellanza; in sintesi,
comportandosi semplicemente da esseri umani.
A oggi sono stati riconosciuti oltre 28.000 “Giusti fra le Nazioni”, prevalentemente in 51
Paesi dove maggiore e più lunga è stata la persecuzione degli ebrei, quali Polonia, Olanda,
Francia, Ucraina. In Italia, il numero dei “Giusti” è attualmente di circa 766 persone, anche
qui in gran parte uomini e donne senza particolari qualifiche e fama; tuttavia, tra loro
figurano anche personalità politiche, autorità religiose, personalità della cultura, tra cui il
questore di Fiume Giovanni Palatucci, il cardinale Elia Dalla Costa, arcivescovo di
Firenze, il cardinale Pietro Palazzini, mons. Giuseppe Nicolini Vescovo di Assisi, il pastore
valdese Tullio Vinay, il pastore avventista Daniele Cupertino, militari della Guardia di
Finanza e dell’Arma dei Carabinieri, il campione di ciclismo Gino Bartali, e tanti altri.
Permettetemi in questa occasione di menzionare anche altre persone senesi che protessero
in vario modo e a vario titolo gli ebrei: il parroco di San Fedele don Gori Savellini che
ospitò per qualche tempo cittadini ebrei nascosti nella sua canonica; il carabiniere Giulio
Lattanzi (in servizio alla Stazione Carabinieri di Radda in Chianti) che consigliò molte
famiglie ebraiche di cercare rifugio presso località più grandi, poiché infatti nei piccoli
paesi era più facile notare la presenza di estranei; don Giuseppe Faeti che nascondeva
durante il giorno in una stanza segreta attigua alla chiesa di San Martino molti ebrei del
vicino ghetto; don Alfredo Braccagni, nella cui casa trovò larga ospitalità il professor
Amerigo Nugel; i già ricordati Ludovico, Lidia e Gino Cardini, Ulisse e Ade Adami e non
ultima quella Irma Morandini, scomparsa recentemente, che ebbe il coraggio di resistere
alle minacce dell’ufficiale delle SS che la minacciava puntandole la pistola alla tempia e di
coprire con il suo silenzio il rifugio di una famiglia ebrea salvandola dalla deportazione.
Da rimarcare in questo senso l’opera e il contributo di molti sacerdoti e, più in generale,
della Chiesa senese nell’assistenza agli ebrei perseguitati di cui ha lasciato una bella
testimonianza diretta nei suoi scritti proprio il Nugel, affermando che “Sotto il simbolo

della Croce sempre trovai comprensione af ettuosa, sereno conforto, coraggiosa e pur
semplice volontà di bene”.
Vorrei infine concludere con le parole di Moshe Bejski, l’ideatore della onorificenza di
“Giusto tra le Nazioni”, che definiva sé stesso come “un pescatore di perle che si tuffa nel
passato per scoprire un tipo di uomini che nei tempi oscuri del mondo permettono di
credere ancora nelle possibilità dell’uomo”. Salvato anche lui dal genocidio, grazie al
tedesco Schindler che lo aveva inserito nell’elenco dei nominativi che riuscì a salvare da
Auschwitz (in quella “lista” che dà il nome al celebre film), aveva “intuito che la
esperienza di un genocidio produce una doppia responsabilità: insieme al dovere di
ricordare le vittime, esiste quello di non dimenticare chi ha rischiato la vita per salvarle”,
ovvero che “ogni gesto di responsabilità, di resistenza, anche il più piccolo, va difeso con
la memoria”. È questa l’eredità maturata da Moshe Bejski e che ha voluto lasciare a tutti
noi: e cioè, che “dopo avere attraversato Auschwitz, si comprende assai meglio come ogni
essere umano è custode della vita di almeno un altro essere umano”.
Grazie per l’attenzione.

About the author

Pier Camillo Pinelli

Ex Fantino, ora Editore e Direttore responsabile di questo Giornale online e la penso così: "per farsi dei nemici non è necessario dichiarare Guerra, basta dire quel che si pensa" (Martin Luther King)
per mail: giornalebrontolonews@gmail.com

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